Lavorare per sopravvivere, con la prospettiva di una pensione esigua


L’editoriale della domenica
di Carlo Alberto Pari
Lavorare ed essere povero appare un ossimoro, purtroppo, in tanti casi è realtà. Negli ultimi anni abbiamo vissuto diverse drammatiche situazioni, dalla crisi finanziaria alla pandemia, per arrivare all’immane tragedia delle guerre, arrivate anche alle porte d’Europa. Proprio in questi periodi, l’inflazione ha colpito duro, sommando gli ultimi anni, ben oltre il 15% . Una dato apparentemente sottovalutato, che porta in realtà enormi problematiche, soprattutto, ma non solo, per i redditi da lavoro dipendente e per le pensioni. Queste ultime, sono state colpite dal blocco seppure parziale della perequazione, che dovrebbe garantire l’adeguamento automatico delle rendite all’inflazione, una tutela basica, ma indispensabile, visto che le stesse non hanno contratti di lavoro a tutela. I pensionati colpiti, che hanno spesso versato svariati decenni di contributi per garantirsi una vecchiaia serena, si ritroveranno tra qualche anno con rendite falcidiate. Come spesso accade, ciò verrà a galla quando sarà troppo tardi per recuperare. Ancora peggio per il lavoro dipendente, ove mediamente, dai dati emersi in una recente indagine di un autorevole ente, i salari hanno perso negli ultimi 17 anni, circa 8,7% del loro valore reale posizionandoci come Paese, all’ultimo posto nel G20. Solo per fare un paragone, salvo errori, nello stesso periodo la Germania è cresciuta del 15%. Finalmente, la problematica è ora di scottante attualità e la domanda sorge spontanea: come è potuto accadere? La risposta appare banale: per lo stesso motivo per il quale oggi, molte pensioni, tramite il blocco parziale della perequazione stanno perdendo valore reale, ergo, è presumibilmente mancata una reazione determinata e reiterata, sostanzialmente, la solerzia ha abdicato all’inerzia. Seppure con colpevole ritardo, si richiedono interventi urgenti, peccato che ormai, in troppi si ritrovano poveri pur lavorando, anche a tempo indeterminato. Una vergogna, persino in verosimile contradizione all’art 36 della Costituzione. Con “il senno del poi” si parla di recuperi, auspicabili, anzi necessari, seppure fuori tempo massimo e quindi, di difficile realizzazione. Se a “pagare il conto” verranno chiamate le imprese, si rischierà di perdere competitività sui mercati, in alcuni casi, mettendo in pericolo la sopravvivenza delle stesse. Se a “pagare il conto” sarà la detassazione fiscale, si rischierà di implementare l’abnorme debito pubblico, mettendo in ulteriore pericolo i servizi essenziali e le generazioni del futuro.