In appello assolte ex presidente e collaboratrice di Rompi Il Silenzio


Paola Gualano e Loretta Fillippi sono state assolte in appello perché il fatto non sussiste. In primo grado, nel dicembre 2023, la ex presidente di “Rompi il Silenzio” e l’ex collaboratrice erano state condannate a otto mesi di reclusione, pena sospesa, per indebita percezione di erogazioni pubbliche. Per Gualano e Filippi era scattata l’imputazione coatta ordinata dal gip del tribunale di Rimini Manuel Bianchi, dopo l’opposizione all’archiviazione della denuncia presentata nel 2021 da sette ex socie di “Rompi il Silenzio”, ente riminese attivo nella tutela delle donne in casi di maltrattamenti e violenza domestica. Il processo d’appello ha ribaltato la sentenza dichiarando entrambe innocenti. Paola Gualano era difesa dall’avvocato Alberto Alessi, Loretta Filippi dagli avvocati Matteo Casini e Filippo Capanni.
“Giustizia è fatta! – commenta la vicesindaca e assessora alle Politiche di Genere Chiara Bellini, annunciando la loro assoluzione -. Una notizia che fa tirare un sospiro di sollievo, ma che lascia l’amaro in bocca per il trattamento subito, soprattutto da Paola, il cui nome è stato sbattuto sui giornali già in fase di indagine, quando per molti altri rimane celato persino fino alla fine del processo. Una pressione mediatica che ha amplificato il peso di un’accusa rivelatasi infondata. Oggi la verità ristabilisce la giustizia“.
L’indagine della Guardia di Finanza era scattata nel 2021. Le ex socie avevano segnalato l’esistenza di un presunto tacito “accordo” tra le due indagate che avrebbe garantito alla Gualano di percepire indebitamente 650 euro al mese da gennaio 2018 a maggio 2021, per un totale di oltre 26 mila euro. Secondo l’impianto accusatorio, entrambe le indagate svolgevano per l’associazione l’attività di reperibilità notturna, attraverso cui l’ente fornisce un servizio di disponibilità alle chiamate delle forze dell’ordine e dei pronto soccorso in situazioni di pericolo per le vittime. La Gualano, però, a differenza della Filippi, essendo stata all’epoca socia non sarebbe stata legittimata da statuto a percepire compensi per l’attività prestata. Stando alle indagini delle Fiamme gialle, sebbene la Filippi prestasse il servizio 15 giorni al mese, nelle fatture emesse la prestazione sarebbe stata conteggiata per il mese intero. Così, una volta riscosso il denaro, la Filippi, secondo l’accusa, avrebbe di volta in volta consegnato alla Gualano la metà “non dovuta” del proprio compenso. Accuse ora cadute con il pronunciamento dell’Appello.