Giubileo: la riflessione del Vescovo sulla confessione
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Nell’anno del Giubileo il vescovo di Rimini Nicolò Anselmi propone una catechesi sul sacramento della confessione. Nella prima di due riflessioni parte dalla sua umanità e da che cosa sperimenta ogni volta che vive la confessione.
La riflessione del Vescovo Nicolò Anselmi
In occasione dell’anno del Giubileo, mi permetto di offrire alcune semplici considerazioni personali sul sacramento della Confessione, perché penso che sia una occasione grande di amore, di rinascita, di liberazione, di speranza che Dio vuole offrirci.
Lo faccio raccontando brevemente, prima di tutto, la mia esperienza di essere umano, cristiano, peccatore, amato da Dio che va a confessarsi. Successivamente vorrei condividere la mia esperienza di sacerdote chiamato a donare la Gioia del Sacramento della Confessione al Popolo di Dio.
Spero che queste due testimonianze posano essere utili a qualcuno per l’inizio di una riflessione e di una riscoperta.
La preghiera della sera è, per me, uno dei momenti più belli della giornata. Talvolta la vivo in modo più intenso, altre volte meno, ma è sempre bello stare con Dio, io e lui, nell’intimità, nel silenzio e nella pace. Insieme a Gesù ripercorro la mia giornata, le situazioni meravigliose che mi ha fatto vivere. Alla luce dello Spirito Santo scopro anche tanti errori, mancanze di amore, momenti in cui ho ceduto alla tentazione di pensare a me stesso, di essere egoista, di evitare l’incontro con qualcuno, di essere superbo, poco attento ai poveri, di criticare gli altri, di essere pigro nel servizio, distratto e tanti altri gesti che nulla hanno a che fare con la carità di Gesù che abita in me. Sì, perché, come ricorda San Paolo, non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me. Le occasioni d’amore mancate o addirittura evitate involontariamente mi rendono triste; vorrei tornare indietro nel tempo e comportarmi in modo diverso.
Nello scorrere degli anni, forse tutti abbiamo compiuto dei gesti che vorremmo cancellare; talvolta sono come dei macigni che ci pesano sulla coscienza, che creano sensi di colpa e rischiano di schiacciarci: tradimenti, trascuratezza di persone, bugie, soprusi, violenze verbali o fisiche o morali. I peccati creano divisioni che rischiamo di non riuscire più a comporre; che brutte sono le chiusure e le divisioni!
Talvolta capita che non riusciamo a perdonare noi stessi. Ci sentiamo sporchi, nudi, ci viene voglia di isolarci, di non voler incontrare nessuno, ci vergogniamo. Questi sono pensieri tenebrosi e pericolosi, molto pericolosi.
La mia tristezza parzialmente svanisce quando sento che Gesù mi vuole abbracciare offrendo la possibilità di ricominciare, di rinascere, di risorgere. Sono più sereno quando riesco ad essere pentito dal profondo del cuore e penso che da lì ha qualche giorno andrò a confessarmi da un sacerdote a cui potrò affidare il mio peso.
Penso che Gesù si sia inventato la Confessione per liberare le persone dei pesi dei propri peccati ed offrire loro un nuovo inizio; il sacramento della Confessione, della Riconciliazione, del Perdono, della Misericordia -lo si può chiamare in tanti modi- è stato il primo dono, il primo incarico dato agli apostoli dopo la Resurrezione; nel cenacolo, la sera di Pasqua, Gesù disse: “Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno perdonati”.
Nella mia vita sono andato confessarmi da molti sacerdoti; i miei preferiti sono quelli che ascoltano, inizialmente senza dire nulla, senza giudicare, che sentono la sofferenza, senza dare consigli. Il sacerdote che sta in silenzio forse lo fa perché sa di essere lui peccatore o perché sta ascoltando con stupore la bellezza e la sofferenza di un’anima umile.
Sono contento quando riesco ad essere preciso, a dare il nome ai miei peccati, a ciò che è sbagliato: mi sembra di aver aiutato Dio ad individuare bene la ferita che lui vuole curare.
Sono contento quando il sacerdote, dopo aver ascoltato, mi incoraggia a sentire l’amore di Dio, il bene che mi vuole, la fiducia che ha in me; mi piacciono i preti che mi invitano a pregare, a stare con Gesù.
Per molti anni il mio confessore mi ha insegnato a fidarmi della Madonna, una mamma, una di noi che desidera solo la felicità dei suoi figli.
Ho iniziato a confessarmi con una certa regolarità intorno ai vent’anni, quando ho iniziato a chiedermi seriamente cosa volevo fare della mia vita. Il mio desiderio di essere perdonato è nato dal desiderio di essere felice. Sentivo che Dio voleva la mia felicità.
Il maligno suscitava in me paura, vergogna, superficialità, orgoglio. Soprattutto superficialità. Vivevo senza pensare troppo, “ma cosa ho fatto poi di così grave? Non ho certamente bisogno di chiedere perdono. Dio è buono e posso confessarmi da solo”. Riconoscere che sono fragile, peccatore, è riconoscere la mia realtà, abbracciare l’umiltà, chiedere aiuto per tornare ad amare di più è una cosa bellissima. Gesù ci ama così; “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” dice in punto di morte.
Al termine della Confessione, dopo aver ascoltato le parole “io ti assolvo, ti perdono dei tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, spesso provo lacrime interiori di gioia, il desiderio di abbracciare il confessore e di nutrirmi dell’Eucarestia, di sperimentare l’unione con Gesù ed i fratelli, la nostalgia dell’unità del genere umano, la fraternità universale, il bisogno di pace totale, per tutti.
Questo è l’anno del Giubileo, un anno di gioia, un anno opportuno per chiedere perdono ed essere perdonati, di accostarsi con gioia al sacramento della Confessione.
Senza il perdono di Dio probabilmente non potrei vivere. Grazie, Signore, per il dono dei sacerdoti che hanno tempo per donarci la Misericordia di Dio.