Enpa: basta cani alla catena. La storia di Pardo, libero dopo 8 anni
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Otto anni di privazioni prima di riconquistare la meritata libertà. A raccontare la storia di Panchito, ora ribattezzato Pardo, è l’Enpa: legato fin da cucciolo con una catena al collo in un’area rurale di Sassofeltrio, in provincia di Rimini, il cane era stato abbandonato a se stesso dopo l’arresto del proprietario. Solo grazie alla segnalazione di una volontaria e all’intervento tempestivo della sezione riminese dell’ente nazionale protezione animali, la sua storia ha avuto un lieto fine. Ma non per tutti è così perché, spiega l’avvocato Enpa Claudia Ricci, la detenzione dei cani alla catena è una pratica ancora troppo diffusa in Italia, nonostante la giurisprudenza della Corte di Cassazione abbia ormai stabilito che questa condizione costituisce un illecito penale che, in presenza di lesioni fisiche o psicologiche, può aggravarsi fino a rientrare nel maltrattamento di animali. Anche laddove una legge regionale o un regolamento comunale consentano ancora il ricorso alla catena, tale norma viene superata dalla giurisprudenza maturata e quindi, aggiunge Enpa, chiunque veda un cane detenuto in queste condizioni deve denunciarlo. Proprio la vicenda di Pardo dimostra quanto la sensibilizzazione e la denuncia siano strumenti fondamentali: per otto anni, il cane non ha avuto possibilità di muoversi liberamente o socializzare e la sua catena lo ha condannato alla solitudine e alla sofferenza. L’Enpa di Rimini ha lavorato per settimane per ottenere il suo rilascio. L’unica soluzione legale per il proprietario è stata la cessione del cane, evitando conseguenze penali certe. Ora, Pardo sta finalmente riscoprendo la gioia di correre, giocare e fidarsi dell’uomo, ma la sua storia deve servire da esempio: nessun cane dovrebbe mai vivere incatenato. Da qui il nuovo appello dell’Ente: “chiunque si imbatta in un cane tenuto alla catena deve segnalare la situazione alle autorità competenti o alle associazioni animaliste. Non basta limitarsi a un gesto di pietà, come portargli cibo: occorre testimoniare che l’animale viene costantemente privato della libertà e, se possibile, documentare con foto e video la sua condizione“. Enpa lancia poi un appello alle istituzioni: servono più controlli, soprattutto nelle aree rurali, dove il fenomeno è ancora troppo diffuso.