Coniugi rapinati in casa e picchiati da finti carabinieri, dopo 12 anni individuato un malvivente
Avevano bussato alla porta di una coppia di coniugi riccionesi qualificandosi come carabinieri e giustificando la loro visita con una imminente perquisizione domiciliare dovuta al fatto che la figlia convivente era sospettata di spacciare droga. Un evidente pretesto che serviva a rendere più credibile quel controllo. Era il 20 luglio 2012 e in quel momento all’interno dell’abitazione, situata nella Perle Verde, c’era solo la madre della ragazza, una donna all’epoca di 54 anni.
Una volta entrati, i finti carabinieri seguirono la signora in camera da letto e la bloccarono alle spalle. Mentre uno le tappava la bocca con le mani, intimandole di non urlare, l’altro la trascinava di peso in cucina, dove venne imbavagliata con una federa e legata ad una sedia con delle fascette da elettricista. Poi i due rapinatori attesero il ritorno a casa del marito, che all’epoca dei fatti aveva 65 anni. L’uomo, appena aprì la porta, fu aggredito e immobilizzato anche lui con delle fascette. Per fargli capire che non scherzavano, fu colpito in pieno volto con un pugno e incappucciato con una federa. Dalle informazioni in loro possesso, il 65enne sarebbe dovuto rientrare con una ingente somma in denaro, circa 50mila euro. Invece con sé aveva solo 600 euro in contanti e un libretto di assegni. I ladri rovistarono nelle varie stanze e, dopo aver messo a soqquadro l’abitazione, si allontanarono con gioielli e preziosi per un importo vicino ai 15mila euro.
Quando i coniugi riuscirono a liberarsi diedero l’allarme ai carabinieri. I militari del Nucleo operativo radiomobile di Riccione perlustrarono a lungo la zona dell’abitazione e quelle limitrofe, ma dei finti carabinieri nessuna traccia. Nel frattempo le federe e la fascette utilizzate per immobilizzarli furono sequestrate e successivamente inviate ai Ris di Parma per essere analizzate. Dopo 12 anni, dagli esami di laboratorio biomolecolari effettuati sulle 15 fascette repertate, è emerso su una di queste un profilo genetico ignoto, non appartenente quindi alle due vittime, che è stato inserito nella banca dati nazionale del Dna e che ha fornito riscontro con il profilo di un uomo oggi 39enne, nato e residente a Reggio Calabria.
Dalle successive verifiche, è emerso che il 39enne è gravato da numerosi precedenti di polizia: porto di armi ed oggetti atti ad offendere, possesso ingiustificato di chiavi alterate e grimaldelli, rapina, ricettazione, armi clandestine, stupefacenti. Il 29 maggio del 2020 fu scarcerato per fine pena dal penitenziario di Biella, dove era detenuto per ricettazione e rapina. Non solo, perché circa un mese prima della rapina in abitazione a Riccione (era il 24 giugno del 2012), fu fermato per un controllo dalla polizia Stradale di Pesaro al casello della A14 – Strada Montefeltro. Con lui in auto c’era un allora 52enne calabrese, già noto alle forze dell’ordine, con alle spalle vecchissimi precedenti di polizia risalenti agli anni novanta e inizio duemila. Per il sostituto procuratore Luca Bertuzzi, che ha coordinato le indagini dei carabinieri riccionesi, alla luce degli esiti sul Dna è da ritenersi che uno dei due finti carabinieri sia proprio il 39enne calabrese. Per questo ha chiesto il rinvio a giudizio dell’indagato per lesioni personali e rapina. Il prossimo 15 maggio, nell’aula L del tribunale di Rimini, si terrà l’udienza preliminare davanti al gup Raffaele Deflorio. L’altro rapinatore, invece, fin qui non è mai stato identificato.