Commercio in crisi: negozi chiusi, locali sfitti e nuovi hub
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In 10 anni in provincia di Rimini si sono abbassate definitivamente 705 serrande. I negozi di commercio al dettaglio erano 5.261 nel 2014 e sono scesi a 4.556 a fine 2024 (numeri Camera di Commercio). A tenere a galla le statistiche è l’aumento di attività non tradizionali, dall’e-commerce alla vendita per corrispondenza. Ma facendo un giro nel centro storico di Rimini la situazione è palese: le attività sfitte sono il 18% del totale, ha spiegato a Fuori dall’Aula su Icaro Tv l’assessore riminese alle attività economiche Juri Magrini. Tante le cause: affitti elevati, perdita del potere d’acquisto, cambio di abitudini da parte dei consumatori ma anche la concorrenza spietata delle grandi piattaforme online. A giocare un ruolo importante, anche la liberalizzazione delle aperture che ha portato centri commerciali, temporary store e outlet ad essere operativi 7 giorni su 7 dando una spallata al commercio di prossimità. Basti pensare che lo scorso anno in queste strutture hanno gravitato 1,9 miliardi di presenze in Italia. Cosa fare? Sul tema affitti le armi son ben poche: il comune di Rimini ha deciso di alzare l’imu al massimo per i locali sfitti e al contempo ha proposto incentivi ai proprietari disposti a cedere temporaneamente gli spazi (in attesa di affittuari) per mantenerli “accesi” con mostre ed eventi. Desolanti risultati: una sola adesione in tutto il 2024, ha rivelato l’assessore Magrini. Intanto Rimini ha ottenuto un contributo regionale per lo studio di fattibilità su 3 hub urbani: centro storico, marina centro, viali delle regine. Primo step di un progetto di rilancio del commercio sul quale, ha aggiunto l’assessore, l’amministrazione è intenzionata anche ad aprirsi a soluzioni “borderline” dal punto di vista legislativo. Resta centrale però il tema delle risorse per concretizzare il progetto visto che i finanziamenti dovrebbero arrivare dalla Regione che, alla luce dell’ultimo bilancio di previsione, non sembra in ottima salute.
Il dibattito a Fuori dall’Aula con Juri Magrini, assessore alle attività economiche del comune di Rimini, Giammaria Zanzini, presidente di Federmoda Emilia Romagna, e Fabrizio Vagnini, presidente provinciale di Confesercenti.
Fuori dall’Aula 24/25. Commercio, crisi senza fine. Quali rimedi?
In dieci anni in Emilia Romagna sono spariti quasi 8mila negozi con una corsa alla desertificazione che va più veloce nei piccoli borghi ma non risparmia nessuno. Un’analisi Confesercenti evidenzia come siano 306 i comuni in Regione che hanno perso una o più attività di base: ad esempio 318mila residenti non hanno più nel proprio territorio un rivenditore di elettronica, 235 mila sono privi di un emporio, oltre 200mila di una pescheria. Ma ci sono anche 236mila residenti in Emilia Romagna senza un negozio di abbigliamento per bambini, oltre 196mila senza una libreria, quasi 200mila senza ferramenta. Dal 2014 ad oggi, le imprese registrate nel commercio al dettaglio in sede fissa in regione sono diminuite del 16,2%. Si tratta di oltre 8.000 serrande abbassate in dieci anni, più di due al giorno. Numeri impietosi e preoccupanti che hanno molteplici cause: l’esplosione delle vendire online, gli affitti elevati dei centri storici, la riduzione del potere d’acquisto dei consumatori. Restringendo l’analisi alla provincia di Rimini, i numeri 2024 evidenziano come il commercio continui a rappresentare lo zoccolo duro delle imprese attive (il 23,1%) ma con una flessione dell’1,1%. In controtendenza però il comune di Rimini con 4.827 attività al 31 dicembre 2024 e un trend costante di crescita negli ultimi tre anni con un saldo tra nuove aperture e cessazioni che nel 2024 è stato di 78 unità. L’aumento è però dettato in prevalenza dalla maggior offerta di attività non tradizionali, dall’e-commerce alla vendita per corrispondenza e a domicilio. Tra 2023 e 2024 infatti sono state 195 le aperture di queste “forme speciali di vendita”, esplose a seguito della pandemia. I negozi fisici però, a differenza di quelli virtuali, rappresentano anche un baluardo antidegrado per le città e di sicurezza per i cittadini. Ogni serranda che si abbassa, ogni vetrina che si spegne non è solo un problema del singolo commerciante in difficoltà ma rischia di diventare una criticità per il territorio. La domanda però resta sempre la stessa, ormai da tempo: è possibile invertire la tendenza? E in che modo?