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Più pensioni che stipendi. Sud compromesso, a Rimini saldo ancora attivo

di Andrea Polazzi   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
sab 24 ago 2024 13:42
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Nel Mezzogiorno si pagano più pensioni che stipendi, ma nel giro di qualche anno il sorpasso è destinato a compiersi anche nel resto del Paese. Secondo alcune previsioni, entro il 2028 sono destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età 2,9 milioni di italiani, di cui 2,1 milioni sono attualmente occupati nelle regioni centrosettentrionali. Lo rileva l’ultima ricerca della Cgia di Mestre che ha effettuato un confronto tra il numero degli addetti e quello delle pensioni erogate agli italiani sono riferiti al 2022 (ultimi dati disponibili). Il numero dei lavoratori dipendenti e degli autonomi sfiora i 23,1 milioni, gli assegni corrisposti ai pensionati sono invece poco meno di 22,8 milioni (saldo pari a +327mila). In maggiore difficoltà è il sud con Lecce (-97.000), Napoli (-92.000), Messina (-87.000), Reggio Calabria (-85.000) e Palermo (-74.000) che risultano le realtà col saldo peggiore. Si registra però uno squilibrio anche in 11 province del nord: Sondrio (-1.000), Gorizia (-2mila), Imperia (-4mila), La Spezia (-6mila), Vercelli (-8mila), Rovigo (-9mila), Savona (-12mila), Biella (-13mila), Alessandria (-13mila), Ferrara (-15mila) e Genova (-20mila). Le realtà più virtuose sono invece Milano (differenza tra il numero delle pensioni e gli occupati pari a +342mila). Seguono Roma (+326mila), Brescia (+107mila), Bergamo (+90mila), Bolzano (+87mila), Verona (+86mila) e Firenze (+77 mila). Per quanto riguarda l’Emilia Romagna il numero di pensioni erogate sono 1.794.000 mentre gli occupati risultano 2.001.000 con un saldo positivo di 208.000 che la vede al quarto posto in Italia. La provincia di Rimini è invece 25esima tra le 107 italiane (quinta in Emilia Romagna) con 126.000 pensioni erogate e 145.000 occupati (+19.000). Le altre romagnole sono più indietro: Forlì Cesena è 27esima (saldo +16.000) mentre Ravenna è 36esima (+5.000).

Con tanti pensionati e pochi operai e impiegati – commenta il segretario della CGIA, Renato Mason –, la spesa pubblica non potrà che aumentare, mentre le entrate fiscali sono destinate a scendere. Questo trend, nel giro di pochi anni, minerà l’equilibrio dei nostri conti pubblici. Per invertire la tendenza dobbiamo aumentare la platea degli occupati, facendo emergere i lavoratori in nero e aumentando i tassi di occupazione di giovani e donne che in Italia continuano a rimanere i più bassi d’Europa”.