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sentenza di primo grado

A processo per la vendita piramidale di integratori, assolti tutti gli imputati

In foto: il tribunale di Rimini
il tribunale di Rimini
di Lamberto Abbati   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
mer 12 giu 2024 17:15 ~ ultimo agg. 13 giu 13:33
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Era stata ribattezzata operazione Cheope, come la più antica piramide egizia, proprio perché sotto la lente d’ingrandimento del Nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Rimini era finita un’attività di vendita considerata illecita, con una struttura piramidale composta da più di 10mila persone, gestita da una società operativa sul mercato italiano degli integratori sportivi e dei prodotti dimagranti, la Vi Italia Srl, con sede legale a Milano, facente parte all’epoca dei fatti del gruppo nazionale Vi, al cui apice era posizionata la capogruppo statunitense ViSalus. Tra i leader fondatori di Vi Italia figurava un sammarinese di 39 anni, poi, sotto di lui, quelle che in gergo vengono definite le prime “tre gambe”: un romano (residente a San Marino) di 44 anni, un riccionese di 56 e un comasco di 52. Tra i 13 imputati, colpiti dai sequestri, c’erano anche due riminesi di 24 e 51 anni. Complessivamente furono sequestrati 7 milioni e 300mila euro, l’equivalente del profitto del presunto reato.

Gli avvocati Lancini e Maresi

Ebbene, a distanza di poco più di due anni dall’indagine, il tribunale monocratico di Rimini ha assolto in primo grado tutti e 13 gli imputati, 10 dei quali difesi dall’avvocato Moreno Maresi, e uno dal collega di studio Mattia Lancini, con formula piena, “perché il fatto non sussiste”. Le difese hanno sostenuto, carte alla mano, che quanto incassato dagli indagati derivasse in gran parte dalla vendita dei prodotti e non dall’attività di proselitismo. Il caso era già stato oggetto di una prima valutazione, in sede cautelare, a favore degli allora indagati. Infatti il Tribunale del Riesame di Rimini, accogliendo le ragioni della difesa, revocò il provvedimento di sequestro di oltre 7 milioni di euro. Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna alla pena pecuniaria di 100mila euro per ciascuno degli imputati. In attesa di conoscere le motivazioni, il giudice riminese ha sentenziato la legittimità della nota rete di vendita.