Ad un anno dal consiglio comunale che si è tenuto in carcere a Rimini sono pochi i miglioramenti. A denunciare una situazione ancora molto complessa è il partito Radicale. Una delegazione, a cui si sono uniti anche i rappresentanti della camera penale riminese, ha fatto visita nella mattinata del 2 aprile ai Casetti nell’ambito dell’iniziativa Pasqua in Carcere.
“Non abbiamo notato dei grandi cambiamenti dal consiglio comunale che si è tenuto in carcere un anno fa – spiega Ivan Innocenti del Consiglio Generale del Partito Radicale -. La sezione 1 va chiusa perché le condizioni non sono accettabili. La speranza è che i lavori di ristrutturazione per quella e per la sezione 6 chiusa da tempo possano partire a giugno. Resta una situazione di sovraffollamento. A fronte di una capienza massima di 118 detenuti, attualmente ce ne sono 137, fino ad un mese fa erano trenta in più. Poi fortunatamente sono state attivate delle misure alternative e questa è un ottima cosa, anche se non basta. Ci sono dieci pazienti con disturbi psichiatrici, ma lo psichiatra è presente per troppe poche ore. La metà della popolazione carceraria utilizza sonniferi per dormire e anche questo è un segnale allarmante. Purtroppo oltre la metà dei detenuti è tossicodipendente. Un elemento positivo che abbiamo colto in questa ultima visita è il clima di distensione tra carcerati e agenti penitenziari. Purtroppo invece restano divere le carenze strutturali“.
Circa una ottantina i detenuti stranieri per i quali non c’è uno specifico servizio di mediazione culturale. Il sostegno sanitario andrebbe potenziato e manca completamente una zona lavoro che dovrebbe sorgere al posto della sezione 6. Una progettualità per migliorare la situazione c’è, spiegano i radicali, ma si registrano anche tagli ai fondi e all’orario del personale a supporto dei detenuti “Purtroppo con una mano si dà e con l’altra si toglie – aggiunge Gemma Gasponi, avvocato e membro del Consiglio Generale del Partito Radicale -. Dobbiamo ricordarci che le persone detenute sono parte della società, sia nel momento in cui sono incarcerate che in quei percorsi di reinserimento sociale“.