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Impediva all’ex compagno di vedere la figlia, la donna dovrà svolgere i lavori socialmente utili

l'aula del tribunale di Rimini

Dovrà svolgere 144 ore di lavori di pubblica utilità oltre ad un percorso parallelo di rivisitazione critica della condotta posta in essere. E’ quanto disposto dal tribunale monocratico di Rimini nei confronti di una 37enne riminese, mamma di una bambina di 8 anni, che ha impedito per mesi all’ex compagno, col quale i rapporti si erano deteriorati da tempo, di vedere la loro figlia. L’uomo, un imprenditore riminese, si era visto costretto a denunciare la donna, che al termine delle indagini della Squadra mobile era stata prima indagata dalla Procura di Rimini e poi rinviata a giudizio per “mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”.

La 37enne, difesa dall’avvocata Veronica Piepoli, nel corso della prima udienza, attraverso il suo legale aveva offerto al padre della bambina 2mila euro di risarcimento in cambio dell’estinzione del reato. Somma ritenuta però insufficiente. Il difensore della donna allora aveva avanzato una nuova proposta: quella di poter far accedere la propria assistita ai lavori di pubblica utilità. Era stata la Procura, però, a sollevare delle eccezioni ritenendo che la richiesta della 37enne dovesse essere integrata comunque da un risarcimento. Osservazione accolta dal giudice, che aveva aggiornato il dibattimento. Questa mattina il procedimento nei suoi confronti è terminato con una messa alla prova. Per il padre della bambina la soddisfazione di aver visto riconosciuto un proprio diritto, peraltro precedentemente sancito da un tribunale.

I fatti risalgono a fine 2020. L’imprenditore, che dopo una breve convivenza aveva interrotto ogni tipo di relazione con la 37enne, denuncia delle difficoltà crescenti nell’incontrare la figlia. La donna, infatti, secondo il racconto del genitore, avrebbe ostacolato il normale rapporto padre-figlia fino a negargli ogni tipo di contatto con la bambina, nonostante le disposizioni del tribunale di San Marino – Stato dove all’epoca viveva la riminese – che aveva sancito il diritto del genitore di avere con la figlia incontri a cadenza regolare.

Temendo di non rivederla più, l’uomo, forte anche delle relazioni dei servizi sociali che evidenziavano la volontà della donna di oscurare la figura paterna, si rivolge agli avvocati Luca Greco e Michela Torri e decide di denunciare la madre di sua figlia. Gli investigatori riminesi verificano quanto stabilito dalle autorità del Titano, ascoltano le assistenti sociali e quindi fanno iscrivere il nome della 37enne riminese nel registro degli indagati. Il rinvio a giudizio è il successivo passo. Oggi la donna, che nel frattempo si era detta pentita del comportamento tenuto e aveva espresso la volontà di riportare la situazione su un binario di civile convivenza, dovrà intraprendere i lavori di pubblica utilità.

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