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Il caso del murales. Montevecchi condanna, il sindaco difende ‘l’arte scomoda’

il murales dell'uomo che allatta

Il murales con un uomo che allatta al seno un neonato comparso tra il porto canale e la chiesa di San Nicolò diventa un caso politico. Il consigliere regionale della lega Matteo Montevecchi lo condanna come provocazione “frutto della peggior ideologia perversa transfemminista” e chiede al sindaco spiegazioni sulle legittimità dell’opera. Il sindaco, ricordando analoghe insurrezioni per le cartoline di Cattelan, spiega che si tratta di un collettivo di writer che opera su spazi messi a disposizione dall’amministrazione e risponde difendendo l’arte come “sedia scomoda“, la libertà di espressione e ne riconosce anche, a livello personale, un valore come immagine della paternità.


Il commento di Matteo Montevecchi, consigliere regionale della Lega: “A Rimini è comparso un nuovo murales che raffigura un uomo che allatta un bambino, frutto della peggior ideologia perversa transfemminista. Lo sfondo è rigorosamente con la bandiera LGBTQ. 
Nello stesso spazio, però, già dall’estate dell’anno scorso era presente un altro murales con la bandiera transgender che vedete sopra in foto e che era apparso qualche giorno prima del Pride. 
Mi chiedo, assieme a tanti cittadini: ma è stata concessa una qualche autorizzazione per compiere queste provocazioni? O ci troviamo davanti ad un’amministrazione comunale compiacente, visto che si comporta facendo orecchie da mercante, senza aver mai fatto pulire queste imbrattature, situate davanti al giardino della Chiesa di San Nicolò? Queste deturpazioni vanno bene?
Tant’è che hanno fatto addirittura in tempo a farne delle nuove come se nulla fosse. Impuniti e legittimati da un comportamento lassista. 
Credo proprio che il Sindaco Jamil Sadegholvaad sia tenuto a dare spiegazioni ai cittadini, perlomeno a tutti coloro che non hanno l’anello
al naso”

La risposta, tramite Facebook, del sindaco Sadegholvaad: “Cosa penso del murales che tanto sta facendo discutere in queste ore?
Faccio una premessa per poi dire chiaramente cosa penso.
Da studente liceale, la mia brava professoressa mi citava questa frase: l’arte, nella storia dell’uomo, è sempre stata una sedia scomoda.
Per questo il rapporto tra arte e mondo è sempre stato ferocemente dialettico: se fosse altrimenti si parlerebbe di tutt’altro. Eppure ogni volta che questo cozzo tra arte e presunta ‘normalità’ avviene ecco saltar fuori la modalità ‘scandalo’: interpreti diversi, parole identiche.
Censurare…oscurare.
A Rimini è accaduto anche in anni recenti: ricordate le raccolte firme per chiedere la distruzione delle famose cartoline giganti di Maurizio Cattelan? C’è sempre un Montevecchi di turno che, invece di domandarsi perché cancellare le parole straniere nel nome di una italianissima autarchia (perchè, consigliere, non eliminare allora l’insegnamento dell’inglese nelle scuole di ogni ordine e grado? Risolvereste il problema alla radice…) chiede di passare una mano di vernice sulla storia, sulle storie, sull’arte, riuscita o meno fa poca differenza, nel nome di un proprio pensiero.
Lo avrebbe fatto, certamente, anche per Caravaggio e Michelangelo se fosse stato vivente in quel periodo storico.
Figuriamoci per un collettivo di writer riminesi che interpreta simbolicamente l’attualità operando su alcuni spazi messi a disposizione dall’amministrazione comunale di Rimini. Liberamente, gratuitamente e senza alcun contributo economico pubblico, lo specifico per il centrodestra che magari ha già pronto il comunicato sul danno erariale.
Figuriamoci: quel muro sin qui grigio e anonimo, un quasi ‘non luogo’, che oggi ‘divide’ , per molto tempo ha ospitato la creatività della spray art con la scritta cubitale ‘Trans è bello’ a cui una manina birichina ha fatto da contrappunto anch’esso artistico sostituendo ‘Trans’ con ‘F..a’.
Attualità vuol dire anche, per questi giovani artisti, uguaglianza delle persone, uguaglianza dei corpi.
Non entro nel merito, tutto individuale, della sensibilità e dei suoi eventuali urti o entusiasmi.
Sto al piano pubblico e del ruolo che l’arte o comunque visioni non convenzionali possano avere nell’ambito della vita di una città.
E questo a Rimini trova e troverà sempre asilo, perchè non si professa Rimini capitale italiana della cultura solo per una competizione datata 2026 o Rimini terra di libertà solo in un convegno: la si professa sempre, comunque e dovunque, principalmente nella quotidianità e a partire dall’atteggiamento che adottiamo ogni giorno uscendo di casa. Questa nel bene e nel male è l’arte; questa nel bene e nel male è Rimini.
Se poi chiedete a me cosa penso, dico che in quella figura maschile che allatta al seno vedo il magico mistero della paternità. Essere padre, e lo provo ogni giorno sulla mia pelle e lo dico per esperienza diretta visto che sono padre di una bimba fantastica, non significa solo ‘portare i calzoni’, ‘portare a casa lo stipendio’, fare la parte del ‘poliziotto cattivo’, tutta la ridondante oleografia insomma di un ruolo che la convenzione vede come accessorio, utile ma fondamentalmente più sociale che originale.
Invece essere padre significa avere la stessa relazione naturale, misteriosa, corporea, profonda, insondabile, differente ma uguale rispetto alla madre.
Parità.
E questo mondo ha un fottuto bisogno di padri e non di padroni.
Padri, che non è la stessa cosa di patriarcato o paternalismo. PADRI”.

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