Il Tar dell’Emilia-Romagna ha dato ragione al Comune di Rimini nella querelle con l’associazione Pro Vita sui manifesti della campagna contro la pillola abortiva, che veniva associata all’idea di veleno: manifesti la cui affissione era stata vietata da Palazzo Garampi con delibera di giunta del 15 dicembre 2020. Come si legge nella sentenza che fa seguito alla camera di consiglio dello scorso 12 luglio, i giudici non accolgono le censure proposte dall’associazione, a partire dal vizio di incompetenza della giunta ad adottare il provvedimento impugnato: si tratta infatti di un atto dal “carattere straordinario costituente la presa di posizione della civica amministrazione di Rimini su tale peculiare profilo concernente la rilevantissima e divisiva questione sociale e sanitaria dell’aborto che, all’evidenza, oggettivamente travalica l’ordinaria competenza dirigenziale in materia di controllo sulle pubbliche affissioni comunali”.
A livello più generale, inoltre, il Comune ha “un generale potere autorizzatorio che gli consente di controllare l’oggetto di ogni servizio pubblico che gestisce. Di qui, pertanto, la correttezza dell’operato della giunta”. Respinto anche il vizio di carenza di motivazione, dato che la giunta ha “adeguatamente” spiegato le concrete ragioni del diniego, ovvero che il farmaco oggetto della campagna di informazione è “sicuro e approvato dall’Agenzia italiana del farmaco”. Per cui “i manifesti appaiono senz’altro idonei a ingenerare in maniera ingiustificata allarme”. Dunque, ribadisce la sentenza, “ha negato l’affissione di manifesti che del tutto ingiustificatamente e falsamente equiparano a un veleno un farmaco legalmente approvato”.
Per i giudici, la delibera è “dotata di chiara e congrua motivazione che in alcun modo risulta violare la libertà di manifestazione del pensiero tutelata dalla Carta Costituzionale e dalla giurisprudenza Cedu, limitandosi essa a non consentire l’affissione di manifesti il cui contenuto risultava oggettivamente non veritiero e suscettibile di condizionare in modo fuorviante e ingannevole l’utilizzo di un farmaco regolarmente approvato dalle competenti Autorità sanitarie”. E infatti, aggiungono, il Comune ha regolarmente consentito l’affissione dei manifesti che l’associazione Pro vita ha successivamente commissionato, eliminando il messaggio che equiparava il farmaco RU 486 a un veleno. Infine, anche la censura per l’inapplicabilità della disciplina relativa alla pubblicità ingannevole è destituita di fondamento. Pertanto “il ricorso è respinto”, anche se “in ragione della particolarità e novità della fattispecie e delle principali questioni esaminate, esistono giustificati motivi per compensare integralmente, tra le parti, le spese del presente giudizio”.