Ha suscitato un dibattito partecipato il convegno ‘Acqua pubblica: perché sì, perché no’, organizzato da Amir SpA, prendendo spunto dal decennale del referendum 2011. Tra il pubblico, giovedì pomeriggio al Museo della Città, addetti ai lavori e cittadini interessati ad approfondire le complessità del servizio idrico integrato.
Il resoconto (a cura di Amir Spa)
Pur nella diversità di posizioni rappresentate dai relatori coinvolti un punto d’incontro lo si è trovato proprio nella necessità di tornare a dare attenzione al tema acqua, non solo in termini di assetto normativo, ma anche di funzionalità del sistema e di prospettiva di sviluppo. Interventi in antitesi già dalle premesse quelli di Corrado Oddi, portavoce del Forum italiano movimenti per l’acqua, tra i promotori del referendum 2011, e di Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia, la Federazione che riunisce le aziende impegnate nel settore. Se nel mirino di Oddi resta la spinta verso la privatizzazione motivata come industrializzazione del servizio idrico, Colarullo sposta l’attenzione sul livello di competenza ed efficienza, insieme a quantità e continuità di investimenti, che il gestore è in grado di garantire a prescindere dalla sua proprietà. Più sfumata l’angolatura da cui parte il professor Antonio Massarutto, docente del Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche – Università di Udine, ricercatore e studioso della materia, che invita a mettere a fuoco l’urgente necessità di riportare l’acqua al centro della riflessione scientifica, politica e del dibattito pubblico. Con un’attenzione nuova: “Serve una conferenza nazionale in cui dalla diagnosi dei problemi si arrivi ad elaborare una strategia nazionale”.
C’è un dato su cui si è soffermato in particolare l’amministratore unico di Amir SpA Alessandro Rapone: “Il livello di investimenti sul servizio idrico integrato si attesta oggi sui 44 euro pro capite annui, un dato in crescita da quando il settore è stato assoggettato alla regolazione indipendente. Resta il fatto che solo per completare la rete idrica in Italia servirebbero qualcosa come 7 miliardi. Continuando al ritmo attuale d’investimento occorrerebbero circa 250 anni per riuscire nell’impresa. In questo quadro va detto anche che Rimini e l’Emilia Romagna vivono una situazione sopra la media, non solo per quota di risorse destinate al settore, circa 55 euro pro capite l’anno, ma anche per efficienza dei gestori e sostenibilità delle tariffe”. “Per quanto ci riguarda – conclude Rapone – La traccia di lavoro da seguire non può che essere quella che prevede un aumento di investimenti, mantenendo un’organizzazione propriamente industriale del servizio e preservando il ruolo strategico della regolazione nazionale e regionale”.