Si è spento a 83 anni Franco Leoni Lautizi, sopravvissuto alla strage di Marzabotto. Ha vissuto a Rimini dove è stato a lungo dipendente comunale. E’ stato Consigliere Provinciale della Sezione di Rimini dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra e Ambasciatore di pace del Comune di Marzabotto. Numerosi i suoi incontri con gli studenti per portare la sua testimonianza personale.
La storia di Lautizi ripercorsa dall’ANVCG di Rimini: All’età di sei anni riuscì, grazie al sacrificio di sua madre Sassi Martina, a salvarsi dalla strage di Monte Sole, il più feroce eccidio di civili in Italia ad opera delle SS comandate dall’ufficiale tedesco W. Reder, che dal 29 settembre al 5 ottobre 1944 massacrarono per rappresaglia 775 civili innocenti, dei quali 216 erano bambini, la cui storia personale è narrata nel film “L’uomo che verrà” (Italia 2009).
Franco Leoni Lautizi ha scritto “Mia Madre”, poesia in memoria della propria mamma Sassi Mari Martina, la quale in procinto di partorire lo ha protetto col proprio corpo dalle mitragliate tedesche, lasciandolo ferito e motivo di orgoglio per lui, perché posta dal comune di Marzabotto all’inizio del sentiero di Cà Dorino, che porta al rifugio di Monte Sole.
Alla sua storia è dedicato anche il cd “La vita in un cammino” prodotto dall’ Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra e registrato presso il SERMIG-Arsenale della Pace.
Franco Leoni ha partecipato con grande senso di responsabilità a diverse iniziative: è stato testimone di pace in varie edizioni della giornata nazionale delle vittime civili delle guerra e dei conflitti nel mondo, promossa dall’ Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra, è stato ospite alla sesta giornata mondiale dei giovani della pace-SERMIG nel 2018, ha partecipato al convegno “vittime e conflitti. la dignità negata “ nel 2018.
Dalla trasmissione “Come se fosse facile” dell’8 febbraio 2018.
Il ricordo dell’ANGV:
Testimone d’eccezione dell’eccidio e ambasciatore di pace del Comune di Marzabotto (encomio consegnatoli nel dicembre 2019), Franco Leoni Lautizi ha saputo trasferire in questi anni alle nuove generazioni e alla società civile la memoria delle stragi della seconda guerra mondiale con estrema sensibilità e pietà umana, spingendo coloro che hanno avuto il privilegio di ascoltarlo a provare empatia e solidarietà, riconoscendosi come parte della comunità umana senza distinzioni di sorta.
Instancabile il suo impegno profuso nelle aule scolastiche insieme all’Associazione Nazionale vittime Civili di Guerra per testimoniare il valore universale della pace e l’orrore della guerra anche in questo periodo di emergenza sanitaria e di didattica a distanza. Solo in quest’anno scolastico aveva incontrato più di diecimila studenti.
“Questo il grande contributo di Franco Leoni Lautizi e di tutte le vittime civili di guerra – ricorda il Presidente Nazionale Avv. Giuseppe Castronovo – perchè la resilienza di persone che hanno saputo superare i tanti drammatici momenti della seconda guerra mondiale sia motivo di speranza in giorni migliori, soprattutto per i più giovani, che sono il nostro futuro”.
“Tutta la grande famiglia dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di guerra abbraccia la famiglia di Franco Leoni Lautizi per la grave perdita”– aggiunge Marialuisa Cenci, Presidente Provinciale della Sezione di Rimini.
La sintesi dell’intervento tenuto al convegno “Vittime e conflitti. La dignità negata. Testimonianze dirette a confronto” organizzato al teatro degli Atti dall’Associazione nazionale vittime civili di guerra (ANVCG) nel febbraio 2018.
”Dodici famigliari, duecentosedici bambini, settecentosettanta civili – ha ricordato Leoni Lautizi – furono sterminati tra il 29 settembre e il 5 ottobre del ’44, a Marzabotto, dove vivevo con la mia famiglia. Io avevo 6 anni e fui uno dei soli otto bambini scampati a quel terribile massacro dove, però, avevo perso tutti. Ricordo ancora molto bene quei momenti tragici, le truppe tedesche delle SS che iniziano a sparare a raffica; mia nonna, la prima a cadere con una pallottola in testa, io e mia mamma che riusciamo a scappare e nasconderci dietro il pagliaio ma la paglia, purtroppo, non ferma i proiettili. Io ne presi due, ma non mortali, mia madre, in prossimità di partorire il figlio che portava in grembo, e non riusciva nemmeno più a camminare, fu colpita invece proprio al ventre. Non morì subito e quelle ore che passai in solitudine con lei non le dimenticherò per tutta la vita; dalle due e mezza del pomeriggio a sera nessuno poteva infatti venire a soccorrerci – gli uomini erano scappati per resistere nel bosco – e io e mia madre rimanemmo soli. Ho nelle orecchie le sue urla strazianti, che non sembravano nemmeno provenire da un essere umano, un dolore fisico immenso che nulla era di fronte agli occhi che raccontavano la consapevolezza di una persona che aveva perso, e stava perdendo, tutto. Nonostante questo ebbe il coraggio di tenermi per mano, parlarmi e consolarmi, facendomi arrivare vivo fino all’arrivo dei primi soccorsi. Nonostante le terribili ferite riuscivo a sentire la gente che parlava e di fuori, scavare le buche per seppellire mia nonna, mia mamma, e anche me; mi davano per spacciato. Quando mio padre tornò in paese, insieme agli altri uomini, non riuscì a resistere alla vista delle tre buche, credendo di aver perso anche il figlio, oltre la mamma, la moglie e quasi tutti i suoi parenti. Si consegnò allora ai tedeschi che, dopo averlo fatto lavorare per alcuni giorni, lo fucilarono in riva al fiume. Lo ritrovammo un anno dopo, lo riconobbi dai vestiti e da un penna stilografica spezzata in due da un proiettile. Fu il suo ricordo che tenni con me per tanto tempo. Furono giornate di una crudeltà infinita, intorno a noi tutto era distruzione, morte, violenza. Riuscì alla fine a sopravvivere ma le sofferenze non finirono con la fine della guerra. Il dopoguerra fu terribile. La sorella di mio padre a cui ero stato affidato mi trattava malissimo, non mi perdonò mai di essere sopravvissuto alla mia famiglia. Mi picchiava sempre e, alla fine, venni portato in un orfanotrofio. Erano istituzioni tremende allora, con suore formate nel periodo fascista, abituate a far rispettare gli ordini anche alzando le mani. Ricordo una fame atavica, nel dopoguerra non avevamo niente, la miseria più nera. Per natale il regalo più ambito era un mandarino, di cui mangiavamo anche la buccia e ci nascondevamo in tasca i semi, per serbare più a lungo il ricordo del suo sapore.
Ero insieme ad altri centocinquanta orfani ma a me non veniva mai a trovare nessuno, anche una caramella mi avrebbe fatto felice, ma niente e nessuno si occupava di me. Poi, all’improvviso, la svolta. Mi chiamano per un colloquio e vedo questa signora anziana che mi fissa chiedendomi semplicemente se me la sentivo di andare a vivere con lei. Ricordo come oggi la mia risposta: ”Si mangia?”, solo quello. Non sapevo che era una ricca e facoltosa signora che abitava nelle Marche. Con lei vissi un anno in paradiso, da signore, nel vero senso della parola. Ma l’ennesima beffa del destino era dietro l’angolo. La mia nuova madre si ammala e muore e io, pur regolarmente adottato, vengo espropriato da tutori (fino a 21 anni allora non si era maggiorenni) senza scrupoli di tutta la ricca eredità e sono costretto, ancora una volta, a ricominciare la mia vita da capo.
Dopo varie peripezie mi sposo e mi trasferisco a Rimini, dove ancora oggi vivo e dove ho lavorato per tanti anni in Comune, e dove ho messo alla luce i miei sei figli. Dopo anni di silenzio ho accettato di parlare della mia vita e della mia esperienza. Lo faccio soprattutto per voi giovani, per farvi capire cosa sia davvero la tragedia di una guerra. Spesso, soprattutto i più piccoli tra voi mi chiedono come ho fatto a perdonare tanto odio. Io rispondo che con l’odio ho convissuto anche troppo, ma che senza perdono noi non viviamo, portiamo avanti una parvenza di vita. L’episodio da cui nasce il mio percorso di perdono è particolare, quasi insignificante. Arrivato a Rimini incontro un gruppo di giovani tedeschi che avranno avuto all’incirca la mia età, era da noi per il mare, per la vacanza. Fino ad allora odiavo ancora i tedeschi. Guardando quei ragazzi ho capito che loro non c’entravano niente con una guerra che, come a me, sicuramente aveva tolto qualcosa anche a loro. No, l’odio non aveva più senso, cominciai così un percorso interno di perdono e riconciliazione con il mio passato. Incominciai a vivere.
Gli studenti più attenti sono quelli delle scuole elementari perché il loro cuore e la testa sono più liberi e si immedesimano in me, nella mia storia. Piangono, a volte vengono da me e mi abbracciano, potrei essere il loro nonno.
Anche se, forse, sono rimasto orfano nell’anima, ho tenuto di mia madre il ricordo della sua bellezza, più forte del male e della morte. La mia poesia a lei oggi è scritta sui sentieri che accompagnano i visitatori sui luoghi dell’eccidio. La sua dolcezza mi ha tenuto in vita, il ricordo della sua bellezza mi spingono ad essere qui con voi a raccontare e testimoniare la vittoria del perdono, nonostante tutto, sull’odio e sulla morte”.
Il ricordo dell’Istituto per la Storia della Resistenza:
“L’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea di Rimini ricorda, con commozione, Franco Leoni Lautizi, sopravvissuto alla strage di Marzabotto dove aveva perso la madre incinta, il padre e la nonna.
Franco, iscritto all’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra, negli ultimi anni aveva trovato la forza di raccontare ai giovani, nelle scuole, le vicende drammatiche di cui era stato protagonista.
L’Istituto storico di Rimini, a nome di tutti gli iscritti e del direttivo, porge le piu’ sentite condoglianze ai familiari.”
Il ricordo di Ernesto Olivero, fondatore del Sermig di Torino, che aveva ospitato Lautizi nel febbraio 2020 e aveva collaborato un cd sulla sua storia:
Questa notte Franco Leoni Lautizi si è spostato in Cielo. Era uno degli ultimi sopravvissuti della strage di Marzabotto. I nazisti gli uccisero la mamma incinta del fratellino, il papà, la nonna, gran parte della sua famiglia. Franco non aveva più parole di odio, ma di perdono, di speranza. Testimone di quanto assurda e inutile sia la guerra. È l’eredità che ha lasciato a migliaia di giovani nella sua vita, anche ai partecipanti dell’Appuntamento dei Giovani della Pace di Bergamo nel maggio del 2019. Oggi mi piace pensarlo faccia a faccia con Dio, con la sua famiglia, con l’eterna Gioia. Grazie Franco, non ti dimenticheremo mai!
“Mi sono sempre chiesta come una persona con alle spalle un trascorso così drammatico e pieno di sofferenza, costretto a vivere sulla sua pelle l’efferatezza della guerra e a vedere coi suoi occhi come l’odio posso spingere l’uomo alle azioni più impensabili, potesse invece essere così dolce, sensibile, serena. Era questa dolcezza a rendere ancora più speciale Franco Leoni Lautizi, testimone di una delle ferite più drammatiche che la guerra ha lasciato nel nostro territorio. Nell’eccidio di Marzabotto, tra i più cruenti in Italia del secondo conflitto bellico, Franco che nel 1944 aveva solo sei anni, vide morire davanti ai suoi occhi prima la nonna poi la madre, incinta, con cui Franco stava cercando di scappare dalle truppe naziste risalite sull’Appennino. Un’infanzia distrutta, segnata indelebilmente dalla sofferenza che proseguì anche nel dopoguerra, tra affidamenti, orfanotrofi, nuovi dolori. Poi la tortuosa strada conduce Franco a Rimini, dove inizia il secondo tempo della sua vita. Dove costruisce la sua famiglia e dove soprattutto trova la forza di compiere il passo più difficile e meno dovuto: quello di raccontare. Dal coraggio di raccontare credo nasca quella dolcezza e quella serenità, che sapeva trasmettere anche negli innumerevoli incontri realizzati grazie all’Associazione nazionale vittime civili di guerra con gli studenti delle scuole di Rimini, giovani con cui Franco amava dialogare nella consapevolezza lucida che è solo tramandando la memoria che possiamo impedire che la storia si ripeta. Tra le tante occasioni che ci hanno visti insieme, ricordo con affetto anche un’iniziativa che coinvolgeva l’Anvcg – associazione che promuove e sostiene il consolidamento della pace, alla cooperazione e all’amicizia tra gli Stati – e un gruppo di profughi di diversa provenienza: è stato uno scambio di esperienze, racconti e storie diverse, ma con tanti tratti comuni. Perché le conseguenze della guerra, dei conflitti e dell’odio, non hanno epoca e latitudine. Con la scomparsa di Franco, Rimini e l’Italia perdono un testimone prezioso e una persona straordinaria. A nome dell’Amministrazione mando un abbraccio e un pensiero ai famigliari, all’Anvcg e ai tanti che gli hanno voluto bene, come gliene ho voluto io”.
Così lo ricorda Emma Petitti, presidente dell’Assemblea Regionale: “Andava a iniziative e incontrava gli studenti nelle scuole, dove ripeteva spesso questa frase: “Quando non ci saremo più noi finirà anche la memoria, per questo la racconto nelle scuole, almeno nei ragazzi può ancora entrare nella mente e nel cuore. Negli adulti non è più facile, hanno poco interesse”. Addio caro Franco, un esempio di vita, di sofferenza ma anche di coraggio. Che la terra ti sia lieve”.
Il cordoglio dell’Amministrazione Comunale di Cattolica:
L’Amministrazione Comunale di Cattolica apprende con dolore la scomparsa di Franco Leoni Lautizi, 83 anni, uno dei sopravvissuti alla Strage di Marzabotto. Testimone delle tragiche vicende, era attivo con l’Associazione nazionale vittime civili di guerra.
Proprio nel suo instancabile impegno era già in programma per il prossimo 27 aprile un incontro con le scolaresche nell’ambito del progetto sulla memoria “E io mi sono salvato… Storia di guerre e storie di guerra” rivolto agli studenti delle classi quinte della scuola primaria e alle classi terze della scuola secondaria di primo grado dell’Istituto Comprensivo di Cattolica in rete con l’Istituto Comprensivo del Comune di Mondaino.
Alla fine dell’estate del 1944 Lautizi, che all’epoca aveva sei anni, vide morire davanti a sé la nonna e la madre incinta, che era riuscita a salvarlo dai nazisti, che in quei giorni sterminarono i civili nelle montagne intorno a Marzabotto sull’Appennino bolognese.
L’intera comunità di Cattolica si stringe alla famiglia in questo momento di lutto.