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Rapporto Caritas

Il Covid-19, la povertà, il lavoro nero

di Stefano Rossini   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
gio 5 nov 2020 16:05 ~ ultimo agg. 16 apr 15:17
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La fotografia scattata da Caritas inquadra una società fragile, in grande difficoltà, che nonostante gli sforzi fatti per diminuire la povertà (e che stavano cominciando a dare i risultati nei primi mesi dell’anno), con il colpo della pandemia e della quarantena è ripiombata in una situazione di gravi difficoltà.

Oggi, giovedì 5 novembre, Caritas diocesana ha presentato l’annuale Rapporto sulle povertà.

Una presentazione diversa dal solito. Gli anni scorsi il rapporto usciva in aprile e veniva presentato nelle sale di Caritas. Quest’anno arriva a metà autunno, durante una conferenza video, a distanza, e si concentra sui primi otto mesi dell’anno, quelli più duramente colpiti dalla pandemia. La prima considerazione che si ha guardando i dati raccolti è che la povertà sta aumentando sul nostro territorio.

A raccontare com’è cambiata Rimini nei mesi del lockdown c’erano Mario Galasso, direttore Caritas Rimini, Isabella Mancino, Osservatorio sulle povertà Caritas, Mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini e Gloria Lisi, Vicesindaca e Assessore alle politiche sociali del comune di Rimini

Da gennaio ad agosto la Caritas diocesana ha incontrato 1.170 persone: 1.048 coloro che si sono rivolti alla mensa e 122 le persone che hanno ricevuto un pasto caldo a domicilio.

Un aumento importante se si pensa che prima della pandemia i numeri erano calati al punto che si pensava che finalmente stessimo uscendo dalla crisi.

A gennaio in media la mensa Caritas serviva 90 pasti al giorno, ora la media è 130. I pasti a domicilio erano circa 43, a maggio hanno raggiunto un picco di 105 e ad agosto addirittura 140 perché sono stati serviti (su segnalazione del Comune), per 15 giorni, un gruppo di senegalesi in quarantena che vivevano in una casa abbandonata. Il cosiddetto “giro nonni” infatti, nel tempo del lockdown, ha servito non solo gli anziani soli, ma anche persone positive al Covid che non avevano parenti che potessero aiutarle per la preparazione quotidiana dei pasti.

Chi sono i nuovi poveri? 3 persone su 10 non si erano mai rivolte alla Caritas prima. Tra questi si evidenzia: un’alta presenza di uomini (85%), un aumento di italiani (che tra marzo e maggio hanno raggiunto il 39,6%), una forte presenza di giovani (26%) e di 45-54enni (25%).

Ma tra coloro che si sono rivolti alla mensa non ci sono solo i “nuovi” poveri, anzi la maggior parte (7 su 10) viveva già in una situazione di disagio, tra questi il 20% era ben 5 anni che non si rivolgeva più alla Caritas, perché era riuscito a superare le proprie difficoltà, ma con il Coronavirus è ripiombato nel buio.

Tra questi cosiddetti “ritorni” ci sono le donne straniere, in particolar modo le badanti, che con il Coronavirus hanno perso il proprio posto di lavoro, alcune sono tornate in patria e poi rientrate in Italia, rimanendo però disoccupate; ma anche tanti lavoratori stagionali, alcuni dei quali erano in parola con alberghi che poi non hanno aperto o hanno ridotto il personale, altri che, sono riusciti a lavorare solo a chiamata e quindi non hanno avuto modo di raggiungere i requisiti per la disoccupazione.

“Dalle interviste che abbiamo fatto alle persone che si sono rivolte alla Caritas sono emerse – afferma Isabella Mancino, curatrice del Report – sia situazioni di lavoro nero, che contratti non rinnovati, casse integrazioni e licenziamenti. I lavoratori irregolari risultano il 18,7%, è la prima volta che disponiamo di un dato così veritiero rispetto al lavoro irregolare, questo ci fa pensare a quanto esso sia diffuso e a quanto spesso le persone si ritrovano a non essere assolutamente tutelate.

“La maggior parte di coloro che si sono rivolti alla Caritas sono disoccupati, una piccola parte in attesa della cassa integrazione o del bonus per i lavoratori stagionali.

Pochissimi hanno dichiarato di aver fatto domanda per il Reddito di Emergenza, piuttosto, chi non lo aveva già fatto, ha fatto domanda per il Reddito di Cittadinanza, in quanto più duraturo e più cospicuo a livello redditizio. Molti hanno espresso il problema dell’ISEE che si rifaceva ai redditi del 2018 e non alla situazione economica attuale, neppure il cosiddetto ISEE corrente è servito per testimoniare il proprio impoverimento, quindi diverse persone non sono riuscite a beneficiare degli aiuti, solo per questioni burocratiche”.

Al momento dei saluti, però, il messaggio con cui ci si è voluti congedare è stato un messaggio di speranza.

“Così come il Covid-19 ha messo a nudo le fragilità della nostra società – ha detto Galasso – ha anche mostrato quanto sia forte la rete della solidarietà, degli enti e delle associazioni, che così come i singoli cittadini si sono messi a disposizione di chi era in difficoltà. Ognuno ha suo modo: chi partecipando alle attività Caritas e svolgendo volontariato, chi, da casa, scrivendo messaggi e facendo sentire la propria partecipazione, e in tanti altri modi”.

“Che il signore davvero ci faccia accogliere questo dono della speranza e ce lo faccia contagiare, perché è solo contagiandolo che noi lo facciamo nostro. Tanto più noi diamo da sperare davvero, tanto più noi possiamo sperare. Non è un circolo vizioso, ma è un circolo virtuoso. Più dai e più hai, e più hai, più dai”, ha concluso Mons. Francesco Lambiasi.