"Il dolore logora": la testimonianza dei pazienti
“Sei anni di dolore, letto, ricoveri su ricoveri. Il dolore logora”. Cosa si prova a convivere ogni giorno con il dolore, senza riuscire a trovare una causa, e a vedere, quindi una soluzione all’orizzonte? Cerca di spiegarlo Simona – nome di fantasia – in una lettera indirizzata ai medici del Poliambulatorio di Medicina del Dolore di Rimini, da cui è stata presa in cura dopo anni di terapie inefficaci nei diversi ospedali. Una lettera in cui spiega il suo calvario di medico in medico, di specialista in specialista, con un senso di solitudine che l’accompagnava ad ogni visita. “C’è una cosa che rende ancora più buio il tunnel ed è più difficile da sostenere del dolore fisico: non trovare una strada, non essere capiti da chi dovrebbe aiutarti, dovrebbe “sapere che fare”, sto parlando dei medici”. Sono molte le testimonianza di questo tenore raccolte dal centro di Rimini, alcune pubblicate sul sito www.poliambulatoriorimini.it. Una sorta di punto di partenza per il lavoro di questi anni dei medici del centro, per intervenire mettendo al primo posto l’empatia col paziente e il confronto tra specialisti in un approccio di equipe al problema, diverso da quello “classico”. A spiegarlo sono i clinici del dolore che vi lavorano.
In gergo si parla di gestione del paziente con dolore persistente e cronico. Cosa significa?
“Il termine “gestione” significa tener conto anche di una fase di informazione e successivamente di una fase diagnostica, ma soprattutto essa ha inizio con l’accoglimento del paziente a 360 gradi e, quindi, anche della sua sofferenza e delle sue difficoltà. Tentare di arginare gli aspetti emotivi, cercare di isolarli rispetto ai sintomi organici è riduzionistico, perché la cronicità della malattia dolore si definisce proprio dal fatto che la personalità del paziente ne è stata tanto influenzata da finire per coinvolgersi attivamente sulla percezione stessa del dolore e nell’andamento della malattia. Potremmo dire che la malattia dolore ha sempre componenti sia organiche che psichiche, attivamente coinvolte nel mantenimento”. A spiegarlo è il dottor Gilberto Pari, antalgologo.
Qual è il tipo di rapporto che proponete tra medico e paziente?
“Il paziente ha spesso una lunga storia di visite specialistiche, ricoveri e talvolta interventi fallimentari; può aver avuto l’esperienza di non essere creduto dai medici, e di essersi sentito abbandonato per la mancata risposta ai trattamenti” spiega ancora il dottor Pari.
E’ quel che racconta sempre Simona nella sua testimonianza quando scrive: “Inizi così a girare, a cercare fisioterapie, osteopatie, medicine del dolore ma inizi anche a vedere scuotere la testa ai medici che parlano di “dolore cronico”… ne parlano come se fosse un tumore (e te lo fanno vivere così) per il quale non ci sono neppure cure palliative!”
“La malattia dolore porta delle limitazioni dal punto di vista fisico, relazionale, sociale o lavorativo; spesso, in tutte queste aree. Grazie all’esperienza maturata in questi anni, abbiamo ora la consapevolezza che la malattia dolore, proprio per le sue caratteristiche totalizzanti, richiede di essere affrontata seguendo un approccio biopsicosociale, che tenga conto non solo dell’evento biologico, inteso come variazione anatomica, fisiologica e patologica responsabile della malattia, ma anche dello stato psicologico e del contesto socioculturale in cui il malato si trova, considerando come tutti questi aspetti interagiscono influenzando la percezione e la risposta al dolore.” spiega la dott.ssa Valentina Paci, antalgologa e direttrice sanitaria.
E’ proprio nell’ottica di questo modello biopsicosociale che si colloca l’impegno dell’equipe di Medicina del Dolore nella ricerca scientifica e nella formazione degli operatori sanitari e parasanitari attraverso l’associazione Advanced Algology Research (AAR).
Di qui, appunto, l’approccio di equipe e un incontro vero e proprio col paziente, come riportato dalle parole di Simona quando parla del suo arrivo al Poliambulatorio: “i dottori ti si presentano, leggono la tua cartella clinica, guardano ad ognuno come un caso unico, con un corpo che ha in sé una psiche ferita ma non da giudicare e con una storia che conta quanto il dato clinico”.
Come entrano in contatto il centro e il paziente?
“I pazienti più giovani, o i parenti per lui, fanno ricerche su internet: lì possono trovare il sito di medicina del dolore, strutturato per fornire informazioni chiare per il paziente. Il paziente può contattare la segreteria per una prima visita specialistica con il medico algologo.
La segreteria fornisce anche successivamente una disponibilità telefonica continuativa che permette di mantenere il contatto tra paziente e l’equipe.
Quando entra in gioco la consulenza dello psicologo?
“Dal processo diagnostico in caso siano stati recepiti dei campanelli di allarme, oppure successivamente, quando è già stato avviato un percorso terapeutico. In caso di ricovero, la valutazione multidimensionale del dolore rappresenta la prassi ed è effettuata con l’ausilio dello psicologo che riteniamo importante partecipi attivamente alla vita del reparto e sia parte integrante dell’equipe. Lo psicologo non si occupa solo della fase di presa in carico terapeutica ma collabora attivamente sin dal processo diagnostico, ed è meglio accettato dal paziente che non si sente allontanato. L’equipe attraverso la cooperazione ed il lavoro di gruppo svolge quella funzione di integrazione e fornisce un modello che contrasta la divisione mente/corpo che opera nel paziente. In caso di impianto di ausili permanenti la valutazione psicologica pre-chirurgica si è rivelata uno strumento efficace per verificare aspettative realistiche nel paziente, migliorare l’alleanza terapeutica, ridurre i costi di un impianto fallimentare (costi economici per il SSN ed emotivi per il paziente)” spiega la dott.ssa Laura Ravaioli, psicologa.
Cosa succede quando serve un ricovero?
Dott.ssa V.Paci: “ Tra le procedure terapeutiche utilizzate in Medicina del Dolore ve ne sono alcune che richiedono un regime di ricovero. In occasione del ricovero, l’infermiere/a si occupa della pre-visita, ed indaga la salute generale ed i fattori quantitativi e qualitativi dell’esperienza dolore attraverso semplici domande nella scheda (primo screening del paziente); sono consegnati inoltre i questionari di valutazione multidimensionale del dolore: noi abbiamo scelto una batteria ridotta ma efficace nel rilevare i diversi aspetti del dolore che consiste nel QUID e nell’ NRS, che saranno poi letti dallo psicologo, il quale valuterà l’opportunità di approfondire con ulteriori strumenti: colloqui o test. Alla dimissione sono consegnati gli stessi questionari per il follow up ad un mese. I risultati sono registrati nella scheda personale di ogni paziente.”
“Nel caso di impianto di catetere peridurale il ricovero è associato ad un trasferimento nel reparto di riabilitazione dove il paziente segue un programma di fisioterapia mirato al recupero ed alla riattivazione di quei movimenti che prima erano impediti dal dolore” aggiunge il dr. Alessandro Agostini, fisioterapista.
Non è solo la qualità di vita del paziente ad essere compromessa dalla malattia, ma anche quella dei suoi familiari. Cosa è possibile fare?
Dr. Gilberto Pari:” A partire da Giugno 2013, su iniziativa di AAR, è stata istituita la Fondazione per la Qualità di Vita, ente senza fini di lucro che si occupa di favorire progetti che mettano al centro la qualità di vita delle persone. Proprio basandosi sulla definizione di Qualità di Vita, che coinvolge l’ambito sociale, economico, ambientale e sanitario in cui viviamo, la Fondazione si propone di agire per favorire quei progetti volti a supportare il paziente affetto da dolore persistente e cronico. Tra questi progetti figurano i Corsi Psicoeducativi.”
La dott.ssa Ravaioli aggiunge: “I Corsi Psicoeducativi rivolti ai pazienti con dolore cronico ed ai loro familiari prendono origine dall’educazione neurofisiologica del dolore, ma oltre a spiegare i meccanismi fisici alla base della complessa esperienza del dolore attraverso concetti ed esempi facilmente comprensibili per tutti, esplicita anche le dinamiche e le conseguenze a livello psicofisico, relazionale e sociale, offrendo uno spazio di condivisione delle esperienze e strategie per una sua migliore gestione.
Perché l’approccio giusto alla malattia dolore non consiste solo nel puntare alla sua riduzione di intensità, ma deve focalizzarsi sul recupero del benessere del paziente e sulla gestione della cronicità.“