Povertà, accoglienza, integrazione, cultura, università. Sono i temi portanti del discorso del vescovo Lambiasi alle autorità per la festa del patrono San Gaudenzo, dal titolo “Per una cultura del “noi”“. “Vogliamo aprire porte o blindare cancelli?”, chiede il vescovo. Tra i temi di attualità riminese toccati, l’integrazione dei nomadi che lasceranno il campo di via Islanda (visitato alcuni giorni fa dal vescovo) e la situazione del Fondo del Lavoro, che necessita di sostegno economico per continuare la sua attività.
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Il discorso integrale:
Per una cultura del “noi”
La solennità di San Gaudenzo rappresenta per il Vescovo una gradita occasione per incontrare le Autorità della Città, per rivolgere loro parole di considerazione e di cordiale augurio. Colgo la gradita ricorrenza, come già negli anni precedenti, per condividere con voi alcune preoccupazioni circa alcuni aspetti significativi della vita della nostra Rimini. Vorrei però prima partire da una riflessione di quadro che ci aiuti a posizionarci in questo “cambiamento d’epoca” che ci è toccato in sorte.
1. Nel tempo del “noi”
Stiamo assistendo a una evidente accelerazione storica: il disordine globale, il terrorismo, la tumultuosa crescita dell’Asia, l’interconnessione crescente delle informazione e dei trasporti, la crescita delle migrazioni, la sfida climatica… La società va diventando sempre più multietnica e multiculturale. Viviamo in una realtà cosmopolita. Il mondo di mio nonno era l’Italia. Il mio, l’Europa. Quello dei nostri nipoti sarà sempre di più il mondo. Prendiamone atto non con epidermica euforia, ma neppure con una viscerale psicosi dell’assedio. Non possiamo scendere dal mondo che continua a girare vorticosamente. Non possiamo fare una inversione ad U. Non possiamo pigiare il tasto rewind e tornare indietro. Un mondo nuovo si profila all’orizzonte: ora ci occorre una nuova grammatica per interpretare questa esaltante, impegnativa avventura. Recentemente, durante l’incontro internazionale per i 30 anni dello ‘spirito di Assisi’, Zygmunt Bauman ha affermato: “La storia dell’umanità può essere riassunta in molti modi, uno dei quali è la progressiva espansione del noi”. Prima ancora, l’anno scorso papa Francesco incontrando i giovani a Sarajevo, aveva detto: “Voi siete fiori di primavera che vogliono andare avanti e non tornare a quel che ci rende nemici gli uni gli altri. Non siamo ‘loro e io’: siamo ‘noi’. Vogliamo essere un ‘noi’ per non distruggere la patria. Tu sei musulmano, tu sei ebreo, tu sei ortodosso, tu sei cattolico, ma siamo ‘noi’. Mai costruire muri, soltanto ponti”.
Si impone una domanda coraggiosa e onesta: nella nostra Città vogliamo aprire porte o blindare cancelli?
- Una rivoluzione culturale
Ci occorre una rivoluzione culturale. Per contrastare le drammatiche patologie prodotte dalla cultura dell’Io, da cui il nostro territorio non è certamente immune, urge l’intervento efficace e convincente della terapia del dialogo.
A partire dalla tradizionale vocazione turistica del nostro territorio, occorre lavorare più intensamente sulla specificità del turismo culturale e religioso, puntando alla valorizzazione della cultura e dell’arte come straordinari veicoli dello sviluppo civile ed economico. È quanto stiamo cercando di realizzare da alcuni anni con il progetto formativo del Master universitario in “Valorizzazione dell’Arte sacra e del Turismo religioso” all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” della nostra Diocesi. Ma questo qualificato impegno formativo attende da tempo di potersi relazionare con gli ambiti istituzionali preposti alla tutela e alla salvaguardia del patrimonio (le Sovrintendenze ai Beni Culturali) e soprattutto con quelli delle politiche culturali della Città.
Oggi in Europa e nel mondo si guarda al nostro Paese, e anche al nostro territorio romagnolo, più che per l’attrazione della sua spiaggia, per l’unicità del suo ambiente e delle sue opere d’arte – che per i 2/3 sono di matrice religiosa – e per la qualità del clima sociale che si crea tra le persone. È necessario e urgente mettere in atto progetti lungimiranti, incentrati sulla formazione e la riqualificazione di nuovi modelli di turismo a partire dal vasto patrimonio artistico e culturale dell’area romagnola, offrendo al contempo concrete opportunità di investimento, di cooperazione e di occupazione professionale connesse a questo comparto.
Occorre essere obiettivi e riconoscere che dopo anni di stasi sono stati avviati importanti progetti orientati a un significativo cambiamento. Si pensi ai diversi progetti di valorizzazione del polo museale di Piazza Ferrari, ai progetti di ristrutturazione del Teatro Galli, del recupero archeologico di Piazza Malatesta, alle operazioni di nuovo arredo urbano adiacente alle principali chiese del centro storico. Va anche riconosciuto come la gestione della politica culturale abbia evidenziato negli ultimi anni un rilevante miglioramento nell’offerta di importanti servizi: biblioteca, musei, mostre, festival, cicli di conferenze… Resta davanti a noi la sfida di trasformare nell’immaginario collettivo la rappresentazione della nostra Città: da consumistica “vetrina di eventi” a Città internazionale della cultura, a partire dalle sue elevate potenzialità, dal rapporto con la sua identità, il ricco giacimento della sua memoria, la sua vocazione all’ospitalità, all’amicizia, alla concreta solidarietà. Un esempio tra i tanti espressi dalla città è il prezioso contributo che continua ad essere offerto dalla nostra Protezione Civile alle popolazioni colpite dall’ultimo terremoto nell’Italia centrale, e in particolare nel reatino.
Un ruolo fondamentale per continuare a seguire la direzione intrapresa potrebbe essere assunto dall’Università e dalle diverse realtà di formazione scientifica, culturale ed educativa del territorio, che spesso sono ancora percepite come dei corpi estranei nella costruzione di un ethos della Città. In merito allo sviluppo del Polo Universitario di Rimini è apprezzabile il fatto che UniRimini abbia preso vela ed è confortante che abbia ancora cospicue potenzialità di ulteriore incremento. Per la Città il Polo rappresenta una preziosa risorsa a livello culturale e sociale, oltre che economico. Non possiamo e non vogliamo perdere l’Università. Oggi per una università valgono, ancor più che in passato, la qualità della formazione e della ricerca, e il prestigio di cui gode. Per questo il Polo Universitario Riminese ha bisogno di essere sostenuto sul piano progettuale culturale ed economico. È vivamente auspicabile che la Città – attraverso le sue istituzioni pubbliche e private, come attraverso la pubblica opinione – sappia dare unanime e concorde risposta alle possibilità e alle necessità della sua crescita.
- La cultura dell’accoglienza
Sono diversi, al riguardo, i problemi in agenda. Il primo, di speciale attualità, riguarda l’accoglienza agli immigrati, in particolare ai richiedenti asilo. Molti enti pubblici e privati si sono attivati con frutto. C’è stata e si registra tuttora tanta generosità, che si può constatare nella fattiva solidarietà di molti volontari e di comuni cittadini nella collaborazione a tutto ciò che l’accoglienza comporta. Diverse parrocchie, insieme con la Caritas Diocesana e con altre realtà di volontariato e di cooperazione sociale, sono coinvolte in questo urgente impegno. Purtroppo, anche da parte di qualche settore della nostra popolazione, si avvertono alcune resistenze e non pochi ritardi.
È questo un primo ambito di impegno che coinvolge le istituzioni, le autorità civili, la stessa comunità cristiana, i media locali: rassicurare la nostra popolazione, promuovere un’opinione pubblica favorevole, aperta all’accoglienza. Occorre sconfiggere l’allarmismo, e occorre farlo con scelte mirate a costruire una convivenza di rispetto, di fiducia e di pace fra residenti e immigrati. Certamente non sono poche le difficoltà a livello di alloggio e di organizzazione della vita degli ospiti già nella prima fase dell’accoglienza, nel periodo di attesa del riconoscimento dello status di rifugiati. Fase delicata e ricca di impegni, che coinvolgono, con lo Stato, le realtà che non hanno rinforzato le serrature, ma hanno aperto le porte. È davvero non piccolo il carico di queste ultime, ed è reso ancora più oneroso per il meccanismo molto lento dei rimborsi statali, che richiede di impegnare fin dall’inizio somme ingenti, spesso superiori alle risorse a disposizione di chi fa di tutto per accogliere i richiedenti asilo.
Ma i problemi da affrontare non riguardano solo questa prima accoglienza: non possiamo dimenticare anche le decine di persone che, una volta uscite dai percorsi di accoglienza emergenziale e di assistenza definiti dai programmi governativi, si trovano a non avere alcuna possibilità di potersi inserire nella società ospitante. Non avrebbe conseguito il suo obiettivo un’accoglienza iniziale, anche generosa e operosa, alla quale seguisse poi una condizione di emarginazione; di lavoro assente, o precario, o in nero; una situazione di mancanza di alloggio, o che non favorisse la formazione di nuove famiglie o il ricongiungimento di quelle già esistenti; una situazione che spingesse gli immigrati a chiudersi in ghetti senza relazioni feconde con la vita della Città.
A questo punto sento impellente il dovere di segnalare il dramma tremendo dei bambini che approdano nel nostro Paese dopo i cosiddetti “viaggi della speranza” avendo vissuto, spesso, anche il calvario della perdita dei genitori durante il tragitto. Le penose situazioni e le gravi difficoltà che decine e decine di piccoli ‘sventurati’ sono chiamati ad affrontare una volta giunti in Italia diventano accorato appello rivolto a tutte le famiglie e alla comunità in generale, affinché si aprano all’accoglienza di questi fratelli più piccoli e più disperati, per offrire loro il sollievo, la cura e l’attenzione che solo nell’ambito delle relazioni familiari possono essere pienamente garantiti. Per consentire la realizzazione di progetti di accoglienza mirati ed efficaci, è necessario da un lato rivolgere la massima attenzione alle norme di riferimento e ai percorsi di protezione che queste prevedono a tutela della minore età. Dall’altro occorre intervenire decisamente sulle procedure affinché al bisogno di offrire risposte tempestive nei confronti dei più indifesi non si antepongano le difficoltà e le barriere della burocrazia che spesso rendono vano ogni più nobile proposito. La decisione di papa Francesco di dedicare la prossima giornata del migrante del 15 gennaio del migrante ai “Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce” si accompagna al grido di dolore espresso ieri da Francesco con parole severissime per noi discepoli di Cristo: “I cristiani che si professano tali e cacciano i migranti sono degli ipocriti”. Sappiamo di un disegno di legge già approvato al Senato e che il prossimo 25 ottobre è in arrivo al Senato che prevede di dare uno strumento ai sindaci per avere le risorse per l’accoglienza. Oggi se un minore sbarca in un certo luogo, va in carico a quel territorio, sotto tutti gli aspetti. Se si tratta di 30 ragazzi è un conto, ma se sono 5mila si mette in difficoltà il bilancio di un Comune.
Ma la cultura dell’accoglienza non può non tenere presente anche quanto ci richiama il recente “Rapporto sulle Povertà” della Caritas Diocesana. Da tale Rapporto si evince che sono sempre più in aumento le richieste di aiuto che pervengono da singoli o famiglie, spesso privati non solo della perdita del lavoro ma colpiti da lutti, gravi malattie, separazioni, perdita di relazioni significative. Parliamo di persone che sono nate e risiedono nel nostro territorio e che non riescono a trovare risposte adeguate alla loro difficile condizione. Anche nei confronti di questi fratelli emerge la necessità che le nostre comunità siano disponibili a fattivi gesti di solidarietà, che le parrocchie, anche con la collaborazione della Caritas, promuovano progetti di accoglienza e di prossimità volti a sostenere le persone bisognose nel graduale recupero delle loro capacità e, quindi, della loro autonomia.
In questo contesto vorrei offrire un breve aggiornamento sul Fondo per il lavoro che esattamente tre anni fa, il 12 ottobre 2013, la Diocesi, dopo una approfondita fase di riflessione e preparazione, ha lanciato per sensibilizzare la Comunità ecclesiale e civile circa il dramma della disoccupazione, che colpiva e continua a colpire non solo i giovani, ma anche persone con famiglia a carico. La generosità di tante istituzioni e singole persone e la sensibilità di numerose aziende ha permesso, a tutt’oggi, di inserire al lavoro 90 persone. Certamente, un piccolo segno di fronte all’entità del problema e delle domande pervenute; ma resta comunque un messaggio di solidarietà concreta e di speranza. Ma ora forse siamo al momento più delicato: l’iniziativa del “Fondo” è ormai conosciuta e stimata; inoltre ci potrebbe essere un’accelerazione nelle possibilità di assunzioni, poiché alcuni settori produttivi sembrano aver superato la fase più critica. Purtroppo un problema non piccolo è costituito dall’assottigliarsi dei fondi da destinare alle aziende che effettuano assunzioni. Di qui l’appello rivolto recentemente dalla Caritas diocesana e dagli operatori del Fondo – occorre ribadire: tutti a titolo assolutamente volontario – per un rilancio della richiesta di contributi economici.
In questi ultimi mesi è riesplosa la questione del campo nomadi di via Islanda. Al riguardo sento il dovere di richiamare quanto il 29 marzo 2016 la Giunta Regionale dell’Emilia-Romagna ha deliberato in merito alla Strategia regionale per l’inclusione di Rom e Sinti che prevede indicazioni e norme circa l’abitazione, l’istruzione, il lavoro e la salute di questi fratelli e sorelle. è onesto riconoscere che le condizioni precarie in cui vivono molti di loro contrastano con il rispetto di queste indicazioni. Occorre pertanto domandarsi: cosa stiamo facendo perché, per Rom e Sinti, si volti pagina e si dia inizio a una storia nuova e diversa? Pertanto esorto le istituzioni e tutte le nostre comunità ad avviare processi di reciproca conoscenza con spirito di fraternità, accoglienza e dialogo. Inoltre incoraggio le famiglie cristiane Rom e Sinti a sentirsi parte attiva della grande famiglia di Dio e ad evitare ciò che non è degno della loro vera identità culturale e del nome cristiano.
Inoltre richiamiamo la drammatica litania di una situazione che continua vistosamente a peggiorare. Secondo dati forniti dal Comune, a Rimini, risultano in Città 15mila appartamenti sfitti, mentre un numero sempre maggiore di persone è costretto a dormire in strada, nelle barche, sotto i ponti, nelle case abbandonate, o nel migliore dei casi, presso strutture ecclesiali o di emergenza. Inoltre è notevolmente aumentato il numero delle famiglie che non riescono a pagare il canone di affitto da mesi. Tra queste un centinaio hanno ricevuto l’ingiunzione di sfratto. Per quanto riguarda le locazioni, non è noto né il numero totale degli appartamenti affittati in nero per gli studenti, né quello per i turisti estivi. è però risaputo che il fenomeno esiste e va registrando una continua escalation.
Infine permettetemi di ritornare al passaggio iniziale. Auguriamoci perché la cultura del noi non rimanga una roboante espressione retorica, ma impegniamoci perché trovi in tutti e ciascuno di noi degli autentici e coerenti artigiani di solidarietà e di pace.
+ Francesco Lambiasi