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Alcol e giovani. Paura e coraggio.

Silhouette of an alcoholic

Ma come arriva il coraggio per smettere di bere? Gli ex alcolisti lo sanno bene, tutto dipende solo da una cosa: “essere pronti a guardarsi dentro e riconoscersi”. Un solo gesto di compassione per se stessi, per vedere il proprio problema senza più finzioni. Accettarsi. “Solo da quel momento si può davvero pensare di ricominciare sul serio”.

Sguardo ingenuo e volto fanciullo, Fortunato ha 35 anni e due spalle da uomo. Un sorriso generoso che trasmette sicurezza. E’ il sorriso di chi ha smesso di avere paura. Un cenno col capo, una battuta per sciogliere il ghiaccio poi lo sguardo si fa più serio, quasi a focalizzare subito il motivo per cui ci vediamo. Non è una chiacchierata informale ma un’intervista personale. Il ragazzo ha capito bene che non si tratta solo di raccontare una storia. Pensa agli amici che ancora non ce l’hanno fatta. A tutti quelli che credono sia impossibile smettere di bere. Anche lui l’ha pensato per troppi anni. Non si giustificherebbe in altra maniera la motivazione e la dignità con cui inizia a raccontare, riuscendo a spogliarsi di qualsiasi remora e mostrando tutti i suoi fantasmi.

Nessun trauma iniziale come giustificazione. I ragazzi, anche giovanissimi, oggi iniziano a bere in uno stato di sconcertante e banale normalità. Anche per Fortunato non ci sono state attenuanti, se non quella di riempire un vuoto. L’incomprensibile senso del nulla con cui troppo spesso hanno a che fare gli adolescenti. “Ho iniziato a bere nella mia adolescenza un po come tutti, fra amici, per imitazione, per farmi accettare, illudendomi di migliorare i rapporti. Poi ho continuato a bere fino a perderli tutti”. Fortunato ripercorre velocemente con la memoria tutti i momenti in cui, con uno sguardo o una parola, ha capito di aver deluso o perso qualcuno. Uno stato di solitudine che cresce insieme all’attaccamento alla bottiglia.

Non solo amici persi ma anche lavori andati in fumo. Tanti. Troppi. La seconda possibilità che diventa terza, poi quarta, quinta e così via, quella che per tanto tempo non è mai riuscito a cogliere. “Finché non lo guardi da fuori, non ti rendi conto quanto la dipendenza dall’alcol possa condizionare la tua vita. Hai sempre l’illusione di poterla controllare, ma non mai così”. Il trauma della perdita del papà non serve a scuoterlo e non migliora la situazione anzi diventa giustificazione e gli fa da attenuante per continuare a bere. Nonostante la giovane età, brucia le tappe della dipendenza e, come tanti coetanei, non tiene conto che iniziare da giovane a consumare alcol aumenta paurosamente il rischio di abuso e di assuefazione. “Avevo perso completamente il controllo della mia vita”, ammette con una voce fioca ma piena di consapevolezza. Il grave lutto provoca comunque decisioni drastiche nella famiglia. Non ci sono più motivi per rimanere in quella città. Così la sua mamma, che cerca in ogni modo di aiutarlo, decide di trasferirsi a Rimini, dove ci sono più possibilità di trovare lavoro.

 

A Rimini è il Ser.T è la struttura sanitaria dell’Ausl Romagna, che si occupa delle dipendenze patologiche garantendo la prevenzione, il trattamento e la cura dei disturbi da uso ed abuso di alcol, oltre che di altre forme di dipendenza. Dai dati del 2015, messi a disposizione dalla struttura sanitaria riminese, si legge che il consumo incongruo di alcol interessa il 29 % dell’utenza totale in trattamento presso il Sert, cioè 408 pazienti su un totale di 1.407. Tra questi sono 14 (cioè il 3,4 %) i giovani con un’età inferiore ai 30 anni, mentre il 33,1% appartiene alla fascia 50–59 anni, con un’età media pari a 48,5. La bevanda prevalente è il vino (soprattutto per i soggetti ultracinquantenni) a cui segue la birra e i superalcolici. La metà dei pazienti ha iniziato a fare abuso di alcol prima dei 30 anni e ha continuato anche dopo la presa in cura del sistema sanitario.

 

Anche per Fortunato è stato così, il trasferimento nella città turistica non è servito a molto. Sua madre inizia come cuoca in un albergo, ma lui rimane ancora preda di facili distrazioni. La città offre delle opportunità ma anche mille tentazioni e lui si lascia andare di nuovo. Inizia ad isolarsi e perdere il contatto con la realtà. Ma se esistono gli angeli, quello di Fortunato abita proprio a Rimini e si chiama Erika. Un incontro improvviso, inatteso, che scuote la vita del ragazzo. I due giovani si conoscono si frequentano, s’innamorano e dopo qualche tempo decidono di vivere insieme. Lei lo aiuta a ritrovare serenità e un po di equilibrio e, tramite conoscenti che prendono a cuore la loro storia, riesce a trovargli anche un lavoro. Fortunato vuole cogliere questa ennesima opportunità e cerca di impegnarsi davvero, ma ancora non è libero dai legami della dipendenza, perché non ha ancora preso seriamente la terapia proposta dal SERT. Ammette: “tutto sembrava bello ma per me il lavoro voleva dire anche più soldi e quindi più bere”. E così ogni volta che rimane da solo ricade di nuovo nel baratro, perché quando si è affetti da alcolismo si continua a bere, anche se si conoscono perfettamente le conseguenze dal punto di vista della salute, del lavoro, economico e sulle proprie relazioni personali. Non passa tanto tempo che perde anche questo lavoro e la situazione precipita.

Inizia a bere negli orari più impensati da solo, senza mangiare. Di nascosto. Finché anche Erika, per farlo reagire, si allontana da lui. E’ il momento più basso della sua vita: da solo, senza un lavoro, senza un soldo, senza una casa. Prima dorme alla Caritas, poi in stazione, per strada, sembra davvero la fine.
Dal confronto dei numeri del Ser.T., tra i dati del 2015 e quelli degli anni precedenti, si nota un aumento degli alcolisti proprio tra i disoccupati, i lavoratori precari e gli stagionali, fra questi troviamo anche un aumento della patologia per le donne, i residenti e coloro che hanno una dimora stabile. Mentre invece sono in leggera diminuzione i nuovi utenti, gli stranieri, i giovani sotto i 30 anni d’età, coloro che vivono con la famiglia d’origine, gli operai e quelli con bassa scolarizzazione. Quasi tutte le testimonianze di ex alcolisti coincidono spesso in un unico passaggio, cioè la perdita della capacità di riconoscere la quantità del consumo di alcol. Si passa dal consumo occasionale di alcol al consumo giornaliero, al consumo fuori dai pasti fino al consumo al rischio per la salute, senza rendersi mai realmente conto che, per ciascuna di queste fasi, corrisponde un livello di dipendenza. Spesso bisogna arrivare proprio alla fine, cioè al rischio di perdere la vita stessa per trovare la forza di reagire.

E’ accaduto così anche per Fortunato. Un giorno, risvegliatosi in ospedale, prende coscienza di se e dice basta. A causa del bere si era addormentato al freddo ed era andato in ipotermia. Questa volta forse riesce a riconoscersi ed accettarsi davvero. Si reca di nuovo al Centro alcol di Rimini, dove ormai lo conoscono da tempo e urlando minaccia i medici di non andare via finché non lo aiutano. “Noi ci siamo – si sente dire con voce paterna dallo psicologo, che ha da anni a cuore il suo caso – ma solo tu puoi davvero aiutarti, e adesso non puoi farcela da solo. Hai bisogno di qualcuno anche a casa che ti assista nel percorso della terapia”. Fortunato ha bisogno ancora del suo angelo. Rispunta Erika che, con una sola telefonata, torna da lui. I due ragazzi si guardano, adesso gli occhi sembrano più veri e lei decide di aiutarlo ancora. E’ la volta buona.
Fortunato non tocca più un bicchiere. Non ci sta ad essere visto solo come un bevitore perché sa bene di non essere così. “Io non sono il mio vizio”, ripete continuamente a se stesso. Le cose migliorano gradualmente. Mesi di terapia e lucidità, il ragazzo si riprende completamente la sua vita e non ha più paura. Adesso è davvero pronto per cercarsi un lavoro.

 

Ma Rimini non è solo turismo ed eventi, c’è anche una rete sociale fortissima che unisce, in una collaborazione proficua, le strutture sanitarie con gli operatori sociali. Professionisti della solidarietà che da anni lavorano nel silenzio e consolidano la rete sociale del territorio. “Un giorno, in una delle mie visite di controllo, – ricorda Fortunato – il dottore mi suggerì di fare domanda di lavoro in una cooperativa sociale che era in contatto permanente con il Ser.T. Sapevo che era la mia carta jolly, la mia ultima possibilità. Tante ne avevo perse, ma adesso ero lucido e libero per fare davvero sul serio”. Al colloquio di lavoro il ragazzo incontra Nicola, che diventa un altro punto di riferimento per la sua vita. Capisce che il lavoro, prima che sostegno economico, può essere rivincita, leva di riscatto e un altro motivo per tenere alta la guardia dal rischio della ricaduta. Il ragazzo ricorda bene ciò che il Responsabile degli Inserimenti gli dice nel suo primo incontro,: “bisogna stare attenti perché col passare del tempo il rischio della ricaduta è molto alto e dopo è ancora più difficile rialzarsi”. “Ancora adesso – ribadisce il ragazzo – sono le parole che mi ritornano in mente e che mi danno la voglio e la forza di andare avanti. Smettere di bere è stato davvero difficile per me ma adesso, a distanza di anni, mi sento una persona nuova, posso camminare a testa alta e concentrarmi sulle cose importanti”.

Quella di Fortunato è una storia a lieto fine. A lui è andata bene, ma non è sempre così. Lo confermano ancora una volta i dati del Ser.T dal confronto con gli anni passati: il 2015 segna a Rimini un aumento della durata della malattia, cioè una maggior sopravvivenza senza che ci sia guarigione. “Gli utenti – si legge dalla nota dell’AUSL – rimangono stabilmente in carico, aumenta la ritenzione in trattamento”. Complessivamente i trattamenti erogati ai 408 pazienti, nel corso del 2015, sono stati 1.262, vale a dire oltre 3 trattamenti a testa, ad ogni soggetto possono essere erogati infatti anche più di un trattamento (ad esempio una cura farmacologica, un colloquio psicologico, ecc). Nel dettaglio i trattamenti erogati nel 2015 sono stati: 629 quelli farmacologici; 258 quelli sanitari (controlli stato di salute, tossicologici e altro); 49 quelli psicologici e-o psicoterapeutici (tra cui anche trattamento famigliare o di coppia); 226 quelli di natura sociale o educativa (soprattutto colloqui e attività di sostegno); 43 inserimenti in strutture riabilitative, 20 invii a gruppi di auto aiuto; 7 trattamenti per pazienti in detenzione; 50 trattamenti di altro e vario tipo.

Numeri che danno l’idea di un impegno importante. Un lavoro di controllo e assistenza determinante che viene svolto annualmente sul territorio riminese e che viene confermato anche dalle parole di Fortunato. Il ragazzo adesso vede il rischio enorme che corrono i giovani, senza che se ne rendano conto. Sono ancora troppo pochi quelli che trovano il coraggio di presentarsi al Ser.T. Sente la necessità di metterli in guardia. Non li giudica. Mai. Perché capisce fino in fondo cosa significa riabilitarsi e quanta fatica c’è dietro un percorso di recupero. Vorrebbe parlare con loro. Uno ad uno. “Ragazzi perdere il controllo della propria vita è un attimo e per rialzarsi è una fatica disumana. Un sacrificio immenso che da soli è impossibile affrontare. Bisogna farsi aiutare da chi ti guarda negli occhi con sincerità e non ti giudica per quello che hai fatto, perché riconosce le difficoltà, vede i problemi, i fallimenti e le paure che hai dovuto affrontare”.

 

Emiliano Violante

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