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Rifiuti pericolosi. Smantellata organizzazione, 30 indagati: creata coop ad hoc

La conferenza stampa

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E’ stata chiamata Heavy Metal l’operazione, condotta dalla Polizia municipale di Rimini e dal Reparto Aeronavale della Guardia di Finanza di Rimini,  che ha portato ad indagare 30 persone, 15 italiane 15 rumene. Per 10 l’accusa è di associazione per delinquere finalizzata al traffico di rifiuti pericolosi. Tutto è partito nel 2011 da un normale controllo stradale nel quale gli agenti della Municipale fermarono diversi camion che trasportavano rifiuti ferrosi di vario genere. In via Toscanelli è stato poi scoperto un container pieno di ferro e materiale rubato che attendeva di essere portato via dai mezzi di una ditta di Gambettola. Nell’occasione sono stati anche identificati alcuni Rom che si occupavano di raccogliere i rifiuti. Da questo incipit è scaturita l’indagine coordinata dal Pm Ercolani nella quale è emerso che proprio il titolare della ditta di Gambettola era la mente del traffico insieme al suo braccio destro: si tratta di M. S. 48enne nato nel cesenate e D. G. 41enne (referente per i nomadi nel riminese) che figurano tra gli indagati per associazione a delinquere ma erano già stati arrestati nell’aprile 2014 per estorsione in un fascicolo d’indagine collegato all’inchiesta Heavy Metal. I due, per dare una parvenza di legalità all’attività di raccolta rifiuti, aveva creato la cooperativa Metalcoop: chi vi entrava doveva però pagare una quota fissa di 70 euro al giorno a prescindere dal quantitativo di rifiuti raccolti. Inoltre il materiale ferroso che confluiva nella ditta di Gambettola veniva pagato al suo valore minimo (come metallo sporco) e rivenduto a prezzi ben più alti.

E’ anche emerso che spesso i formulari (una sorta di bolla dove devono essere elencate ad esempio le informazioni su chi conferisce i rifiuti) venivano puntualmente falsificati.

Alla ditta di Gambettola arrivava solo il materiale parzialmente ripulito. Il resto veniva inizialmente stoccato in sette aree: via Palmira, via Tolemaide, via Emilia, via Toscanelli, la ex Sacramora, via Popilia. C’era poi un area demaniale in via Bagli/Tonale (ora oggetto degli interventi per lo sfondamento verso l’Adriatica) dove con i rifiuti non ferrosi era stato creato addirittura un terrapieno di due metri che veniva puntualmente spianato col bobcat.

Una volta scoperte e bonificate le aree (anche con l’ausilio dell’Arpa), il traffico è comunque proseguito: i camioncini si fermavano in zone come il parcheggio Chiabrera o via Barzilai dove attendevano il camion della ditta forlivese per il trasbordo. In alcuni casi i rifiuti venivano ritirati anche a San Marino.

Oltre ad essere illecita, l‘attività era anche rischiosa per ambiente e salute: spesso insieme al ferro finivano lastre di eternit che, per non essere individuate nei controlli, venivano sbriciolate e mischiate con altri materiali. Dall’indagine le forze dell’ordine sono risalite anche ad alcune aree dove veniva stoccato l’amianto: 3 siti sul Marano a Coriano, 2 sul Marecchia all’altezza di via Savina ma anche sull’Uso e a Cattolica.

I reati contestati ai 30 indagati vanno dalla violazione della normativa ambientale al falso.

Le aree, utilizzate per l’illecito smaltimento, sono state bonificate e sono stati sequestrati 14 automezzi usati dall’organizzazione.

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