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Chiara Scardicchio: la scoperta dell'autismo, la rinascita, la gratitudine

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mer 2 apr 2014 10:16 ~ ultimo agg. 00:00
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Antonia Chiara Scardicchio è nata a Bari nel 1974, ma racconta di essere rinata una seconda volta undici anni fa quanto ha dovuto ripensare totalmente la sua esistenza nel vivere l’avventura della maternità con una bimba speciale, Serena. Chiara Scardicchio è anche docente e ricercatrice in Pedagogia all’Università degli Studi di Foggia e si occupa dal 1997 di progettazione e formazione nei contesti dell’educazione e della cura. È autrice di alcune pubblicazioni: Logica e Fantastica. “Altre” parole nella formazione (Ets, 2012); Il sapere claudicante. Appunti per un’estetica della ricerca e della formazione (Mondadori, 2012); Adulti in gioco. Progettazioni formative tra caos, narrazione e movimento (Stilo, 2011). Di recente ha pubblicato il volumetto Madri… Voglio vederti danzare, un libro che racconta del suo amore per Serena ma in generale dell’essere madri e genitori in un percorso fatto di dolore, redenzione, bellezza (presentato a Rimini lo scorso 7 marzo). Un “breviario di felicità” nato su iniziativa di un’amica di Chiara: Antonella Chiadini, medico e giornalista riminese, per contribuire a sostenere la spesa per il sostegno scolastico di Serena, quest’anno negato a causa di un ennesimo taglio alla spesa pubblica.

Che cosa ha significato per lei scoprirsi madre di una bimba come Serena?
Ho sempre basato la mia vita e la mia professione sulla parola. Le parole (tante) che uso per relazionarmi agli altri, le parole che leggo e che scrivo nel mio lavoro di insegnante e ricercatrice e per passione. Provate a pensare che paradosso per me trovarmi ad essere madre di una bimba che non parla. All’inizio anch’io mi sono trovata senza parole, chiusa nel mio dolore e nel mio silenzio, ho smesso di scrivere e avevo sempre meno voglia di parlare. Poi nel silenzio ho trovato parole nuove e questa è stata per me una seconda nascita. Scrivere per me è diventato anche un modo di prendermi cura di me stessa, di conoscermi, di resistere e di sbrogliare i miei pensieri, dando un nome alle mie paure. Ma soprattutto scrivo per raccontare ad altre madri la possibilità di vivere in maniera nuova e diversa la propria maternità.

Che differenza passa tra l’arte della lamentazione e quella che lei chiama la “postura interiore della gratitudine”?
Nella nostra tradizione l’idea di Madre Addolorata è molto diffusa, quasi osannata. Ho conosciuto molte madri addolorate, anche senza figli disabili o malati. Mamme incapaci di accettare che i loro figli siano diversi da come li avevano immaginati, madri che usano il lamento come modalità per comunicare, madri capaci di non dormire notti intere perché l’insegnante mette un discreto in pagella ai figli invece che un ottimo. Quando è nata Serena mi sono sentita dire così tante volte: “Povera te…” che anche io, inizialmente, avevo iniziato ad autocommiserarmi. Poi, però, ho conosciuto altre madri. Madri che come me avevano vissuto l’esperienza di una maternità diversa dalle loro aspettative iniziali e, nonostante questo, madri capaci di benedire e non maledire la loro esistenza. Madri capaci di trasformare la disgrazia in grazia. Madri che avevano assunto la stessa postura interiore ed esteriore di Maria di Nazareth: quella della danza.

In che modo Maria di Nazareth è una mamma che danza?
Maria è l’unica madre ad aver visto il proprio figlio risorgere, un evento da impazzire per la gioia. Ma stranamente l’iconografia non l’ha mai ritratta così: gioiosa, danzante, radiosa. Eppure a me piace immaginarla proprio così. Una madre che ha conosciuto il più atroce dei dolori, la morte di un figlio, ma anche la felicità più grande, quella della resurrezione, e quindi una madre ricolma di gioia, che ride di gusto e che, proprio come nell’Annunciazione, pensa: Benedetta me!

Quali sono le principali difficoltà che incontra la mamma di una bambina disabile?
Sicuramente le principali difficoltà derivano dall’eccessiva burocrazia, dalla lentezza istituzionale che spesso fa sì che le famiglie con figli disabili vengano lasciate completamente sole a prendersi cura dei loro figli. Conosco molte famiglie che sono dovute emigrare all’estero perché qui in Italia non potevano contare su una rete di supporto e si sono sentite abbandonate dallo Stato. Anche la scuola è un problema, ogni anno i tagli agli insegnanti di sostegno lasciano soli e in difficoltà tantissimi bambini, come è capitato a Serena.

Lei trasmette una grande gioia di vivere, una grande serenità. Dove trova la forza di affrontare le difficoltà della vita con il sorriso?
A risorgere si impara per contagio. Io, come dicevo, ho avuto la fortuna di conoscere tante madri che invece di chiudersi nel loro dolore hanno saputo aprirsi agli altri. Madri di figli con difficoltà che guardandoli non pensano che sfortuna ma: che bellezza. Da queste madri ho imparato a guardare mia figlia con occhi diversi. Non nego la fatica e le difficoltà ma con Serena sperimento ogni giorno che se non posso eliminare il dolore posso però trasformarlo. La vera felicità sta nel riscoprire le cose essenziali, nel connettersi profondamente a ciò che è reale, smettendo di chiedersi “perché?” e ricordandosi che il dolore dev’essere sempre la penultima parola, mai l’ultima. La felicità dipende dalla tua capacità di leggere la vita e le circostanze che ti capitano con l’atteggiamento giusto. Io fino all’età di 30 anni non avevo mai imparato a farlo davvero. Oggi sono convinta che la felicità dipenda proprio dalla capacità di accogliere senza giudicare, di amare incondizionatamente anche quello che non va, insomma dalla nostra capacità di ringraziare.

Silvia Sanchini