La fondazione San Giuseppe nelle parole di Guido Fontana
L’impegno della Fondazione San Giuseppe nelle parole del Presidente, Guido Fontana
#Perchèsonoqui. N.1
Un nuovo progetto di comunicazione in cui amministratori e collaboratori della Fondazione San Giuseppe si raccontano e raccontano il senso del proprio lavoro e del proprio impegno. Ma anche un modo per aggiornare sulle nostre attività e progetti. Non potevamo che cominciare con un’intervista al Presidente della Fondazione, Guido Fontana. Classe 1953, educatore professionale, ma anche ottimo cuoco e tifoso della squadra di calcio della Roma. Sposato con Grazia, ha due figli e – da poco – un nipotino. Da più di vent’anni collabora a progetti di formazione professionale e prevenzione del disagio giovanile.
Come è nata la sua collaborazione con la Fondazione San Giuseppe?
Tutto è iniziato…per sbaglio! Probabilmente perché nessuno voleva accettare questo incarico prima di me. Io ho accettato soprattutto per curiosità nei confronti dei ragazzi che erano ospiti del San Giuseppe e che già conoscevo per il mio lavoro all’Enaip come coordinatore di corsi di formazione professionale. E poi c’era l’amicizia e la stima che mi legavano all’allora direttore Rocco Erbisti e al coordinatore Maurizio Bertozzi. Dal 1999 sono stato nominato membro del Consiglio di Amministrazione, grazie alla sollecitazione dell’allora Assessore ai servizi sociali e amico Stefano Vitali. Nel 2006 sono stato nominato vicepresidente e, infine, nel 2012 ho raccolto l’eredità di Paolo Mancuso come presidente.
Come amministratore mi sono sempre sentito un po’ un pesce fuor d’acqua perché non ho competenze specifiche sugli aspetti tecnici e amministrativi, ma ho sempre cercato di dare il mio contributo soprattutto sugli aspetti educativi e nel lavoro di rete con le altre realtà del territorio.
#Perchèsonoqui. Da dove è maturata la motivazione per le sue scelte e per il suo impegno in questa realtà?
Innanzitutto dalle relazioni e dalle amicizie con le persone con cui ho collaborato in questi anni: oltre a quelle già citate mi piace ricordare Benito Lombardi, Francesco Soldati, Elisabetta Savorelli con le altre educatrici della comunità “La Sorgente” e Roberto Vignali, coordinatore delle comunità educative. Grazie a lui ho approfondito anche il rapporto con i responsabili delle altre comunità e con gli educatori della cooperativa “Il Millepiedi”, insieme ai quali lavoriamo in sinergia per il bene dei nostri ragazzi. Poi sono molto orgoglioso del lavoro fatto dal Consiglio di Amministrazione in questi anni: abbiamo attraversato fasi di grande cambiamento ma sempre in un’ottica di umiltà e fedeltà sociale ed educativa al valori cristiani e alla passione che animarono i nostri fondatori. Non posso qui non citare Suor Isabella Soleri, nostra fondatrice, i fratelli Bronzetti, il prof. Vincenzo Spazi e i tanti benefattori che negli anni ci hanno consentito di andare avanti, con l’auspicio che se ne aggiungano sempre altri, a cui va la garanzia della trasparenza e della gestione oculata del patrimonio.
Infine molto del mio impegno è anche frutto del mio cammino di fede: per me Gesù Cristo è un modello educativo per eccellenza, seguire le sue orme nella mia vita significa umilmente mettermi anche a servizio dei più piccoli.
Quale pensa sia oggi il ruolo della Fondazione nella Città di Rimini?
Il San Giuseppe è nato per dare una risposta alle necessità di bambini orfani e mamme in difficoltà e, in un certo senso, ancora oggi questa rimane la sua specificità: offrire all’infanzia e all’adolescenza abbandonata un ambito di crescita, un luogo dove ripensarsi e ricostruire relazioni positive con gli adulti (in questo caso gli educatori) “simulando” una vera e propria famiglia. Il grande merito del San Giuseppe negli anni è stato proprio quello di avere sempre il coraggio di trasformarsi in base alle esigenze della città, senza mai smettere di essere una casa per tante persone in difficoltà.
Quali sfide e quali progetti attendono la Fondazione per il futuro?
Stiamo affrontando una fase di forte difficoltà dal punto di vista della contrazione delle risorse destinate ai servizi sociali e un momenti di cambiamenti forti. È necessario individuare nuovi strumenti. Negli ultimi anni, ad esempio, abbiamo elaborato un progetto per l’accoglienza dei ragazzi anche dopo la maggiore età. Poi ci sono state le attività didattiche e laboratoriali: il restauro del mobile, portato avanti grazie a una nostra educatrice, Eleonora Alvisi e il laboratorio di riparazione delle biciclette, portato avanti anche in questo caso da un nostro educatore, Daniele Stefanini in collaborazione con l’equipe della “Ciclofficina” dell’Enaip. Importante anche la collaborazione con l’Università: abbiamo co-finanziato una interessante ricerca realizzata dalla Facoltà di Scienze della Formazione e coordinata dalla prof.ssa Elena Malaguti e abbiamo in atto anche una collaborazione con la Facoltà di Economia e in particolare con la prof.ssa Maria Gabriella Baldarelli che insieme alla prof.ssa Mara Del Baldo stanno approfondendo la storia del San Giuseppe da un punto di vista amministrativo e gestionale.
In generale, per il futuro, credo nella necessità di individuare sempre più forme di accoglienza leggera e transitoria, una sorta di “ponte” tra l’assistenza e la piena autonomia abitativa e lavorativa. Il tema dell’housing sociale ci sembra molto attuale e ci sta particolarmente a cuore. Anche il disagio che coinvolge i più giovani ha assunto nuove forme: nuove problematiche familiari e sociali, nuove dipendenze, nuovi interrogativi posti dalla sempre maggiore presenza di ragazzi stranieri nelle nostre città. In quest’ottica mi sembra fondamentale una sempre maggiore qualificazione della relazione tra pubblico e privato sociale.
Come sintetizzerebbe la mission della Fondazione San Giuseppe con alcune parole-chiave?
Accoglienza, sostegno, accompagnamento relazione. Tra queste relazione è la più importante: indica la capacità degli educatori di mettersi in gioco, in un mondo dove gli adulti sul piano educativo stanno fallendo. Noi invece cerchiamo di riscoprire insieme la fatica, ma anche la bellezza, del compito educativo per garantire un futuro migliore a bambini e ragazzi che vivono situazioni di difficoltà.
Silvia Sanchini